MODERN TALKING  "The 1st album"
   (1985 )

Ok, non lo si dovrebbe dire, e magari qualcuno mi verrà a rigare la macchina, o semplicemente chiederà al webmaster di questo sito di oscurare tutti i miei scritti e di negarmi la licenza di vergar altri commenti. Però, lo dico sottovocepianopiano, quasi come i sussurri di Dieter Bohlen, questo disco è… bello. (Siete schifati? Vediamo di spiegarvi il perché). Dieter ci aveva provato in tutti i modi, con vari pseudonimi (Steve Benson e Ryan Simmons, ma era sempre lui) e altri progetti. Ma il successo non arrivava. Eppure una cosa la sapeva far bene: scrivere canzoni a raffica. Allora? Mancava la voce. Decise quindi di fondare un Dico insieme a Thomas Anders, fanciullo che ci provava, ma che non aveva repertorio. Le cose andarono benissimo. Ok, a primo ascolto questa roba sembra soffice, zuccherosa e biodegradabile, roba al cui confronto le Zigulì riempiono lo stomaco, o Anna Tatangelo sembri Joan Baez. Però all’epoca il genere dell’Eurobeat (o italodance, se volete) aveva un seguito “da paura” nella Mitteleuropa: certo, era un ritmo fine a se stesso, ripetitivo e alla lunga banale, ma qualcuno potrebbe dire che il reggae, o addirittura il rock, non sono poi tanto diversi. Qui si trova un perfetto Bignami di questa musica: Dieter Bohlen – che tra le altre cose riciclò vari pezzi che con la sua voce non erano andati, ma che ritrovavano linfa nelle migliori corde vocali del suo nuovo partner – univa alle drum machine fisarmoniche, violini, e un generale senso di malinconia che rendeva ancor più piacevole l’ascolto. Con titoli sempre molto lunghi, e spesso ripetitivi (da “You’re my heart you’re my soul” e “The night is yours the night is mine”), ma con qualcosa che rendeva ogni traccia differente dalle altre. Il successo fu planetario: peccato che si volle battere troppo il ferro caldo, con album che fioccavano a ritmi esagerati, e dopo un secondo esperimento (“Let’s talk about love”, di pochi mesi dopo, quello con “Cheri cheri lady”) che già mostrava un leggero affanno, i quattro episodi successivi – nel giro di nemmeno due anni, sia chiaro – avevano un forte effetto catena di montaggio, con solo due tracce in media per album che avrebbero potuto superare la cerchia dei fans. Consiglio mio? Andate oltre se solo avete un feticismo verso questi due, ma il loro primo album, se non rischio la scomunica, potrebbe piacervi anche senza patologie. Poi magari, se vi interessa il resto della storia (un totale di 6 album prima, poi il comeback nel 1998 con altri 6 dischi in pochi anni, a cui aggiungere 13 dischi incisi da Bohlen come Blue System in 10 anni, sommando quelli per la discoqueen C.C.Catch, varie ed eventuali, con centinaia di canzoni tutte riconoscibili dalle prime note e in carta carbone), forse è il caso che mi contattiate privatamente: il database di musicmap potrebbe uscirne appesantito al limite della capienza. (Enrico Faggiano)