PINK FLOYD  "A saucerful of secrets"
   (1968 )

Il secondo lavoro dei Pink Floyd non è altro che l’incontro tra la psichedelia efferata del primo lavoro e quella soffusa dei lavori immediatamente successivi. Nonostante sia un disco di transizione, resta un punto fermo nel panorama psichedelico inglese, forse ancora di più di “The Piper...”, proprio per la sua precaria ed artica genialità.

Il basso liquido che introduce la nenia psicotica e arabesca di “Let There Be More Light” è distante anni luce dalle chitarre stridenti di Syd Barrett. Distante perché ordinato, delicato nello sfumare e nel ripresentarsi al momento giusto. È un magnifico viaggio attraverso deserto e fuoco, una singolare psichedelica fatata che si fonde a sonorità aspre e sghembe, con l’assolo lunatico di Gilmour nel finale.

Melodie beat e sezione ritmica scalpitante danno vita ad un gioiello di indecisioni come “Remember a Day”, delicata e unica come poche altre. Un pianoforte dolcissimo e ipnotico accompagna parole sognanti e respiri, suoni intermittenti e sibili appena percettibili. I Pink Floyd sono combattuti tra melodie easy e viaggi apocalittici; ne viene fuori un linguaggio musicale ibrido ed unico nella storia del rock.

“Set The Controls For The Heart To The Sun” è un serpente che striscia nella nostra mente, si mimetizza, colpisce con il suo veleno terribilmente dolce e letale. Uno dei viaggi rarefatti più affascinanti e riusciti del gruppo; la voce sussurrata, le musicalità orientali e i suoni dilatati creano nella nostra immaginazione immensi spazi, radure desolate, cieli plumbei e solitudine.

“Corporal Clegg” si avvicina molto alle sonorità dell’esordio. Chitarra acida, atmosfera stralunata e aggressiva, assoluta imprevedibilità nei toni vocali così come nei solo di fiati e chitarra. La title track è invece una sorta di ascesa dagli inferi verso il paradiso. L’esasperante crescendo iniziale sancisce il primo atto; la prima parte del viaggio si tinge di colori accecanti, i suoni insistenti e gelidi si rincorrono in un aumento costante di tensione. Il tutto svanisce per lasciare posto alla batteria che tenta di dare un ordine a quel caos demoniaco; un ordine che viene subito scalfito e spezzato dall’organo che suona motivi casuali e tetri; la chitarra fluttua al di sopra di tutto con i suoi rumori cosmici e roboanti.

Il secondo atto è questo, l’ordine che cerca di mettere a tacere il caos. La luce che squarcia le tenebre. Il terzo e ultimo tema arriva come manna dal cielo. È il paradiso dopo l’inferno. L’ordine assoluto, religioso e perfetto del crescendo di organo è la piena soddisfazione della mente, attanagliata fino a quel momento tra i suoni più disordinati e stridenti. Nel finale si tocca il cielo con un dito. È un brano immenso, un viaggio attraverso le tenebre verso la luce. Si tocca forse l’apice nella carriera del gruppo.

“See-Saw” è una tenera ballata; arricchita di splendide orchestrazioni per archi, incursioni magiche di tastiere e ritmo di batteria sempre originale (come in tutto questo album). Forse, dopo il precedente brano, è difficile darle il giusto valore, ma nessuna canzone potrebbe fare una grande figura dopo i 12 minuti di “A Saucerful Of Secrets”.

Il finale è affidato all’ultima produzione di Syd Barrett sotto il nome dei Pink Floyd: “Jugband Blues” è una filastrocca deliziosa, senza equilibrio come tutte le opere del magico Syd. Così dosata negli archi e nei cori, così multiforme e imprevedibile nelle nuvole di suoni e così dolce nel finale acustico.

“A Saucerful Of Secrets” resta un disco di transizione, ma così unico e ricco di atmosfera da elevarsi a pietra miliare della psichedelica. Non c’è un filo conduttore in questo album. Sono sette affreschi senza tempo né scopo. Magnifici per la loro precaria ed evanescente bellezza. (Fabio Busi)