THE JESUS LIZARD  "Head"
   (1990 )

Sovente catalogati come appartenenti al filone post-rock, i Jesus Lizard di Chicago se ne discostano in realtà grazie ad una emotività violenta e dissoluta più prossima all’hardcore che non alla freddezza intellettuale propria del post-rock stesso. Più vicino al punk per attitudine, il quartetto produce da anni con immutata coerenza una musica solo falsamente sgraziata, in realtà elaborata con un lavoro di continua, insistente rottura degli schemi formali e strutturali tipici del rock canonico e sublimata in un connubio frenetico – si direbbe orgiastico – di chitarrismo nevrotico e ritmica schizoide. Sulle rasoiate della geniale chitarra di Duane Denison e su un tessuto ritmico di devastante frenesia si stagliano sinistre le liriche di David Yow, performer borderline capace di esibizioni sul filo della follia, autentici psicodrammi che sfiorano il nonsense. Il turpiloquio dei testi è distribuito in un coacervo di sesso lurido (“Good thing”), truci nefandezze e spazzatura mentale (“My own urine”): vengono talvolta recitati (“Pastoral”, forse il solo pezzo fruibile di questi 27 minuti da incubo), talvolta sputati in un delirio parossistico, talvolta ancora rigurgitati tra filtri distorti (“One evening”, fucina di dissonanze deraglianti interrotte da una frase consonante), grida belluine (“S.D.B.J”.), suoni gutturali ed amenità assortite che li rendono a tratti inintelligibili (“If you had lips”), come fossero lamenti di uno psicopatico rinchiuso in una cella dietro una pesante porta d’acciaio. Yow – demone intrattenitore - latra direttamente dalle profondità di un inferno tanto grottesco quanto caricaturale, mentre il resto della band macina indefesso una musica tesa a tal punto da lambire l’insostenibilità: è pura nevrosi, pazzia fuori controllo che dilaga come magma in composizioni brevi sorrette da figure e da cadenze che prescindono quasi sempre da qualsiasi schematicità verse-chorus. Il tutto è rigidamente progettato e strutturato in modo da produrre l’effetto più destabilizzante possibile, con staccati, controtempi, inumani incastri basso-batteria (ad esempio in “Waxeater” o nell’assurda violenza omicida di “Killer McHann” ) e disumana furia vocale a colare incessantemente su dieci tracce agonizzanti e grondanti disorientamento. Qua e là fanno capolino progressioni à la Fugazi, ma manca l’elemento (fondamentale) socio-politico, superato e sostituito dall’esaltazione della sporcizia della vita moderna: Yow è cantore stravolto che si bea dello schifo, non certo un lucido narratore di un qualsiasi disagio esistenziale. I Jesus Lizard non cantano l’alienazione: sono l’alienazione stessa. Il cd comprende anche il quarto d’ora scarso di “Pure”, ep di debutto immediatamente precedente “Head” e contenente cinque brevi pezzi sul medesimo registro, se possibile ancora più terrorizzanti nel loro raggelante clangore industriale. E’ una veemenza acerba, comunque in grado di partorire le urla aberranti di “Bloody Mary” o il baritono maniacale di “Blockbuster”, il conato di vomito che chiude la cavalcata di “Starlet” o i versi allucinati di “Rabis pigs”, prima di collassare nei fruscii metallici che affogano lo strumentale “Happy bunny goes fluff-fluff along”. Band geniale, rimasta sempre fedele negli anni ad un modo di fare musica avulso da ogni logica, commerciale o strategica che sia. (Manuel Maverna)