NOIR DESIR  "Des visages des figures"
   (2001 )

Mi sarebbe piaciuto vedere l'espressione incredula stampata sul volto dei molti Italiani che tra il 2001 e il 2002, sulla scia dell' irresistibile hit "Le vent nous portera", acquistarono questo cd dei Noir Desir, storica rock band militante francese, fino a spedirlo diretto fino al numero 7 delle nostre classifiche di vendita; li avrei proprio voluti vedere, smarriti e spiazzati, alle prese con un disco tanto monumentale quanto impervio, abbarbicati a quell’unico scoglio in un mare tempestoso di distorsioni, dissonanze, cadenze sbriciolate ed asperità assortite. Lungi dall'essere gruppo da classifica, i Noir Desir godono in Francia di uno status di autentiche icone del rock, venerati e idolatrati pur senza mai avere concesso nulla al filone mainstream. Questo fortunatissimo album - che uscì nei negozi proprio il giorno 11/09/2001, e conteneva curiosamente un brano intitolato "Le grand incendie" nel quale si citava anche New York - è infatti ricco degli elementi che hanno reso grande la band di Bertrand Cantat negli anni che precedettero lo sciagurato, drammatico atto di follia di Vilnius: su una struttura tipica del rock francese (un unico giro ripetuto per tutto il brano con pochissime variazioni e con un solo accordo differente nel ritornello) si dipanano sonorità oscure ed un canto sofferto spesso prossimo alla narrazione, con rari contrappunti di fiati sparsi qua e là. A differenza del rock tradizionale d'oltralpe, i Noir Desir sanno introdurre interessanti divagazioni sia nella ritmica che nella progressione (a volte addirittura fastidiosa) degli accordi impiegati. Così, l'apertura del disco è affidata ai sei minuti acustico/percussivi dell'impossibile "L'enfant roi" col suo giro ossessivo e la sua opprimente tetraggine, seguita dall'abrasiva veemenza di "Le grand incendie" (mirabile la parte di batteria) e finalmente dal liberatorio reggae mascherato di "Le vent nous portera", che regala un soffio di aria pulita in cotanta fuligginosa atmosfera. Ma basta poco per riprecipitare nelle tenebre, con poche eccezioni più francesi, dalla melodiosa "Des armes" su testo di Leo Ferrè (ma il pezzo rinuncia ad un ritornello...), alla graffiante - e normalissima - ballata mid-tempo di "Lost" fino alla toccante "Bouquet de nerfs"; e se la title-track è un piccolo capolavoro di avanguardia oscura, la conclusiva "L'Europe" spande un chilometrico testo diviso tra invettiva sociale e futurismo marinettiano su 23 (sic!) minuti di una dura cadenza in crescendo, tra sprazzi di teatro brechtiano e impennate rumoristiche che collassano nel buco nero dei quattro minuti finali. Disco poco digeribile ed estremamente complesso (come gli altri quattro che lo hanno preceduto), parto di una band con nessun eguale in Francia e con pochi termini di paragone ovunque. Notevole. (Manuel Maverna)