PHIL COLLINS  "No jacket required"
   (1985 )

Re Mida al contrario oggi, quando forse starà ruminando per un posto all’Isola dei Famosi, o al massimo a Music Farm, Re Mida autentico 20 anni fa: prima che Michael Jackson si autoproclamasse re del pop, diciamo che anche il Phil non se la cavava malaccio. Fertile come femmina di zanzara, deponeva centinaia di uova che si schiudevano diventando immediatamente successi mondiali. Fosse con i Genesis, fosse da solo, fossero collaborazioni, fossero colonne sonore, ci si perdeva il conto, e sorprendeva come quell’inquietante batterista progressive potesse produrre così tanta roba, commerciale ma senza far storcere il naso ai puristi della prima ora. Avevamo appena finito di godere di “Hello I must be going” che subito uscì “Genesis”, seguito immediatamente dalla colonna sonora di “Against all odds”, e in un attimo uscì “No jacket required”. Conigliera di successi, dove forse i fiati avevano preso il posto delle batterie massacrate dai lavori precedenti, e dove Phil poteva addirittura permettersi di lasciar fuori la squassante “Easy lover”, singolo in coppia con Philip Bailey. Ma tra il pompaggio di “Sussudio”, parola di cui nemmeno lui conosceva il significato al lento “One more night”, l’allegria di “Don’t lose my number”, varie ed eventuali, ci stava dentro eccome. Poteva permettersi di suonare al Live Aid da entrambe le parti dell’oceano, girare video sempre pizzicati dall’ironia e mandare in testa alle classifiche una sua produzione di “No one is to blame” by Howard Jones, non prima di essere tornato con i fratellini Genesis per incidere “Invisible touch”. Lo avessero mandato a Sanremo in coppia con Cionfoli, forse avrebbe vinto anche lì. Cosa sia successo poi, non si sa. Troppo soft, troppo addolcito, magari persosi nelle melodie zuccherose dopo lo split up dei Genesis. Dopo aver dominato il Live Aid, lo vedremo andare in sfida con DJ Francesco? (Enrico Faggiano)