GIUFA'  "Trinakristan"
   (2016 )

Nel nome di un variopinto folk zingaresco, apolide e picaresco, a poco più di due anni dal debutto di “Ritmo gitano” i siracusani Giufà pubblicano “Trinakristan”, dieci tracce autoprodotte di irresistibile appeal ed irrefrenabile impulso festaiolo, la cui primaria risorsa risiede in una florida, alquanto provvida, incessante sovraesposizione. Lavoro esemplare per accattivante scrittura e stentorea esecuzione, autentico prodigio di inventiva e creatività, “Trinakristan” è un fascinoso, ubriacante pastiche privo di flessioni o cedimenti, vortice ipercinetico che sorprende in virtù di una inesauribile spinta propulsiva profusa in brani egregiamente equilibrati tra un afflato popolare ed un mirabile lavoro di cesello su arrangiamenti e produzione. In un crescendo di goliardica esaltazione, i sette inscenano una baraonda tzigana che impasta ritmi e colori, suoni ed accenti, pascendosi avida di cabaret e taranta, teatro e klezmer, richiamando senza frontiere Capossela e Beirut, Debout Sur Le Zinc e Oi Va Voi, Mano Negra e Bandabardò in un chiassoso, improbabile mestizaje divertente e divertito, simpaticamente caotico come una tavola di Jacovitti col suo bestiario di variegata umanità. Non concede requie “Trinakristan”, dalla title-track che su una bislacca aria da suk arabo apre in dialetto siciliano fino alla simmetrica chiusura di “Radio Bucarest”, mentre nel mezzo del cammin accade l’imponderabile. Dall’esilarante sketch di rivista di “Dalla Grecia alla Sicilia” (Carosone meets Caparezza) alla frenesia sbronza di “Ubriaco” (Fred Buscaglione 2.0), dall’up-tempo da balera di “Hotel gipsy” alla quadriglia sghemba de “Il circo dei folli”, rutilante caravanserraglio di sbilenca pazzia e grottesco humour, l’album è un sontuoso florilegio di arte varia e stradaiola (delizioso il bozzetto de “I re della città”), compendio popolare di culture e tradizioni. Evocati da un insano medium si materializzano in cuffia Bregovic ed Après La Classe, Avion Travel e Sol Ruiz (la cui “Thanks for the pain” ricorda la salsa truccata di “Non esiste l’amor”, cover di un vecchio brano di Adriano Celentano), flamenco e patchanka veicolati da testi carnascialeschi (“il mio cavallo è una furia/ha un occhio di vetro/e si chiama Cezanne” recita “Vodka e molotov”), piglio istrionico al servizio di una band abile nel mantenersi in bilico tra divertissement ed intelligente analisi delle (dis)umane miserie. Album spavaldo, clamoroso nel dispensare con imbarazzante nonchalance ed apparente facilità arie memorabili, melodie contagiose ed una irresistibile pulsione al riascolto, “Trinakristan” sfoggia estro debordante al servizio di un’indole clownesca, puro talento che sarebbe bello vedersi misurare anche con materiale più impegnato. Per ora, semplicemente entusiasmanti. (Manuel Maverna)