BANANA MAYOR  "Primary colours part I: the red"
   (2017 )

I Banana Mayor sono un quartetto formatosi a Bari dieci anni orsono e giunto con le cinque tracce di questo “Primary Colours Part I: The Red” alla pubblicazione del suo terzo lavoro in studio. Se la matrice stoner à la Josh Homme è riconoscibile fin dalle prime note dell’opener “Equator”, negli episodi successivi la band rielabora i crismi di genere miscelandoli non senza sfoggio di matura personalità: pressochè privo di concessioni ad aperture che ne accrescano l’accessibilità, l’album propone così da un lato un approccio oltranzista ad un sottogenere immediatamente individuabile, mentre dall’altro offre una peculiare, sottile deviazione dagli standard grazie ad inserti mutuati da mondi limitrofi. Si passa dagli sporadici accenti funk di “Mistakes and words”, che nel prosieguo non disdegna incursioni in zona Alice In Chains, all’accenno di melodia che alimenta il chorus di “Another way”, sospinta da un meno granitico uso della chitarra: la variazione a metà del brano e l’uso continuo di riff taglienti a sostenerne il passo spostano l’atmosfera in territori che lambiscono addirittura l’hard rock truce dei primi Guns N’ Roses. Sempre su un riff inacidito si regge la sassata di “Candlelight march”, lanciata ad un ritmo furente prima di placarsi nell’oasi desertica del finale, preludio al soffocante, claustrofobico ingorgo della conclusiva “Sublime”, il pezzo forte della raccolta. I nove minuti del brano si snodano lungo un contorto, asfissiante tunnel di distorsioni condotto da un magistrale drumming spezzato, serratissimo e in controtempo, che ricorda le mai lineari progressioni ritmiche dei Jane’s Addiction, autentico tour-de-force che lievita fino a raggiungere un pathos parossistico. “Primary Colours Part I: The Red” è un lavoro monolitico e ruvido come si conviene alla materia, un assalto spigoloso ben ideato ed ancor meglio prodotto, affidato ad un suono stordente e saturo; interpretato col necessario vigore e con indiscussa padronanza delle dinamiche e della scrittura, offre senza flessioni trenta minuti di feroce intensità che non concedono tregua nè requie. (Manuel Maverna)