NADIE'  "Acqua alta a Venezia"
   (2017 )

Da tempo, gira la convinzione che ormai si riscontrino rari episodi di canzoni di protesta, come se l’epoca d’oro fosse rimasta inchiodata al cantautorato anni ’70. E’ voce che, sinceramente, mi irrita non poco, soprattutto di fronte a lavori come questo dei Nadiè. Niente scuse signori: qui c’è una cristallina invettiva che riguarda tutta la nostra sfera esistenziale demolita dal volgare, dall’annacquamento preoccupante di valori morali ed estetici. Piuttosto, prendetevela con la pigrizia dilagante che ha fatto perdere il fascino della ricerca e della scoperta, reo anche il Dio-denaro, elargito dalle major discografiche, che ha burattinato le radio manovrandole con il business dei soliti noti, affogando grandi talenti indie. “Acqua alta a Venezia” affila le lame della denuncia con tagliente lucidità e ghigno beffardo, nel tentativo (riuscito) di emergere e galleggiare a testa alta nel mare degenerativo dell’etica. Il quintetto catanese apparecchia un desco imbandito di rabbia al vetriolo, senza mandarle a dire ma piuttosto esponendosi con aitante sicurezza, senza timori di risultare anacronistici. In aggiunta, il loro indie-rock ha indubbia originalità, legata alla grande trovata di offrire lunghe tratte strumentali per evidenziare che va data voce anche a note sintomatiche che rispecchino la prerogativa ideologica. Si capisce subito l’antifona con “Conigli” e “In discoteca”, con chitarra e folate di vento che partono da lontano per poi spingersi fino a fragori tipo-Coldplay, con finali sontuosi. Una leggera calma sembra arrivare con “Breve esistenza di un metallaro”: iniziale giro di piano alla “Imagine”, ma più acido di quello di Lennon, che conduce ad una seducente maestosità sonora, dall’indiscutibile fascino. C’è aria di tanto malessere? Certo che sì! Quindi meglio non tenersi dentro nulla e, piuttosto, vomitare più rabbia possibile con tracce blasfeme come “Dio è chitarrista”, decisamente un brano con vertici di grande rock. Indizi melodici sono reperibili nella title-track, senza però smarrire la causticità di accordi e riff duellanti. La tensione, palpabile a orecchio nudo, non risparmia nemmeno la tematica del matrimonio con “Gli sposi”, benché si cerchi di moderare la fuoriuscita di schiuma dalla bocca di Giovanni (la sua voce è un piacere che ricorda Moltheni) con sonorità Far-West, carica di redditizi ed efficaci controtempi. L’assurdità del nostro Stivale è messa in ridicolo col pungente sarcasmo di “Solo in Italia si applaude ai funerali”, che già la dice tutta sulla logica di chiudere l’opera con il de profundis comune: quello di vivere perennemente con le “Bandiere a mezz’asta”, conficcate nella nostra coscienza, grazie allo sfacelo di estetica e virtù, con l’idealismo insudiciato da sporche pozzanghere materialiste. Il tutto commentato dall’influsso serrato di severe chitarre British. Diciamola tutta: questo lavoro deve necessariamente uscire anche in vinile, cosi faremo girare il 33 giri al contrario per ricevere il messaggio. Per come ci hanno scosso e per come ci han fatto ri-aprire gli occhi, c’è poco da girarci intorno: i Nadiè hanno scritto un’opera che brilla di luce propria… anni luce! (Max Casali)