CHARLIE HADEN  "Nocturne"
   (2001 )

Ascoltando dischi come questo si ha l’impressione che il jazz fin dalle origini si sia nutrito di motivi e ritmi latini. Sembrano davvero preistorici non solo i primi coraggiosi tentativi di contaminazione tra musica nera americana ed elementi afro-cubani da parte di pionieri come Dizzy Gillespie negli anni ‘40, ma anche le abbondanti sbornie di bossa nova prese negli anni ’60 da un grande sassofonista come Stan Getz. Ogni attimo di questo “Nocturne” (2001) è il prodotto di una fusione perfettamente riuscita tra tecnica jazz e inventiva latina, in questo caso cubana e messicana. Nel ruolo di “colonizzatore” (nel senso buono) troviamo Charlie Haden, jazzista bianco che nella sua lunga carriera ha offerto il sostegno del suo basso ai più svariati artisti, dallo straripante sassofonista Ornette Coleman al cristallino pianista Keith Jarrett, passando anche per esperienze particolari come la “Liberation Music Orchestra”, della serie “jazz per il Popolo” (sua è “Song For Che”, per esempio). La “manodopera locale” è invece prevalentemente cubana, e di altissima affidabilità. Nel disco suonano stabilmente con Haden il classico e colto pianista Gonzalo Rubalcaba, una specie di Bill Evans caraibico, e il batterista Ignacio Berroa, che qui traccia, senza mai uno svolazzo di troppo, le linee pulite di ritmi placidi ma ammalianti, spesso riconducibili al “bolero” cubano-messicano o alle sue varianti più immediate. Integrano questo trio ospiti di sicuro pregio: Joe Lovano, che si alterna con David Sanchez al sax tenore, Federico Britos Ruiz al violino e il più celebre Pat Metheny alla chitarra acustica, anche se in un solo brano. Ancor più che nei ritmi il fascino e l’originalità del disco stanno nella scelta delle melodie che, come suggerisce anche il titolo, hanno un carattere prevalentemente notturno, affine alle “ballads” del jazz tradizionale, ma al tempo stesso un gusto indiscutibilmente latino, e poco importa che i loro autori cubani e messicani da noi siano praticamente sconosciuti, anche ai jazzofili. A volte, ma non sempre, si tratta di “standards” di quei paesi. In ogni caso sono brani che, suonati in questo contesto e da questi musicisti, riescono a farsi onore non meno che se fossero firmati Cole Porter o Rodgers & Hart, tanto per fare due esempi. L’inizio non potrebbe essere migliore: ”En la Orilla del Mundo” è un vero gioiello, con l’impeccabile introduzione classica del piano di Rubalcaba e quindi l’entrata da brivido del basso di Haden in compagnia del violino di Ruiz, il cui gemito struggente è la voce ideale per esporre un tema ispirato, di malinconia piazzolliana, ripreso poi dal sax di Joe Lovano, che ne fa la base da cui lanciarsi in un magistrale assolo, sostenuto con delicatezza dal resto della band. Ritroveremo il violino di Ruiz a dare voce anche alla cantabile, serena “Yo Sin Ti”, bolero messicano in cui spicca anche il limpido assolo di Rubalcaba, e all’altrettanto orecchiabile, ma più querula “El Ciego”, in cui l’usuale bolero è sottoposto ad un’impercettibile accelerazione. Più ancora dell’acuto suono del violino è il caldo soffio del sax tenore a sposarsi perfettamente con queste atmosfere languide. Luminosi esempi sono i due brani in cui entra in scena il sax di David Sanchez: “No Te Empeñes Mas” e “Tres Palabras”, due boleri cubani, il primo appena più sostenuto, entrambi impreziositi dal puntuale, nitido assolo di piano di Rubalcaba. Non certo da meno sono i pezzi che vedono al sax tenore Joe Lovano. “Contigo en la Distancia/En Nosotros”, che fonde in un unico bolero due “standards” di Cuba, oltre ai sensuali fraseggi del suo sax e all’immancabile apporto del piano, offre anche un raro assolo del basso di Charlie Haden. Lovano contribuisce in maniera determinante anche all’atmosfera notturna di “Moonlight”, uno dei due brani composti da Charlie Haden; l’altro è “Nightfall”, ed entrambi sono perfettamente calati nel clima prevalente nel disco, oltre che ritmicamente affini ai brani tradizionali. Lo stesso si può dire per “Transparence”, opera di Gonzalo Rubalcaba, i cui duetti con il sax di Lovano, sostenuti dal prezioso collante del basso di Haden, rivelano un’intesa perfetta e una raffinatezza assoluta. In “Nocturnal” (come in “Nightfall”) il trio suona senza ospiti; Haden e Berroa costruiscono una solida base su cui il piano di Gonzalo Rubalcaba, in pratica impegnato in un continuo assolo, può sfoggiare tutta la sua limpida classe. Infine ecco “Noche de Ronda”, con l’ospite d’onore Pat Metheny ad impreziosire questo ennesimo bolero con la sua impeccabile chitarra classica, da cui sembra sprigionarsi la calma energia di un flamenco al rallentatore, in un intreccio pressoché perfetto con le note del pianoforte, più che mai rarefatte. Senz’altro uno degli episodi più felici di un disco che ad un primo ascolto, per via di una certa uniformità ritmica, può sembrare monotematico, ma poi cattura definitivamente l’ascoltatore grazie alla sorprendente varietà dei suoi temi melodici. (Luca "Grasshopper" Lapini)