JANEK SCHAEFER  "Glitter in my tears"
   (2017 )

Come lo immaginate un architetto che fa musica? Progetta le forme, sceglie i materiali più adatti ma anche originali e significativi, rende le linee comunicative, l'estetica si fa carico della sostanza. In vent'anni di carriera, Janek Schaefer ha prodotto molta musica ambient, e "Glitter in my tears" è il trentesimo lavoro. Raccoglie ben ventisei tracce: ventisei atmosfere diverse, che possono ambientare ventisei diverse stanze di un ipotetico museo post moderno. Difficile quindi spiegare con degli esempi e dei riferimenti esterni, a parte ovviamente Brian Eno e il suo "Music for airports". Alcune delle "stanze" sonore sono molto brevi, durano meno di un minuto, e sono costituite da un suono di fondo; a volte il gusto sembra simile a quello di David Lynch per le sue colonne sonore, specie di "Inland Empire". Altre sono narrazioni, come "Tale of two angels", dove un'atmosfera idilliaca, fatta di dolci armonie orchestrali, uccellini e bambini che parlano in giardino, viene disturbata da un basso distorto che assomiglia a quello dell'incipit di ''Time'' dei Pink Floyd; da lì non si torna più indietro e restano due note ossessive di chitarra acustica. Quasi tutti i suoni sono elaborati, e a parte le tastiere (o il software) talvolta è arduo distinguere gli strumenti musicali, se non i carillon che ritornano in più tracce. C'è un costante uso di campionamenti, che a volte sembrano presi dalla televisione ("If only" è un sample in cui si ripete un intervallo di quinta, come in molte sigle di telegiornale) ma nella maggior parte dei casi descrivono un ambiente vasto, come "Lagoon", dove la melodia d'orchestra prescelta sa di risveglio di primavera. "Looking for love" propone un timido tema di pianoforte, sostenuto da accordi sospesi. Tale brano sembra registrato in presa diretta, tant'è che alla fine si sente il pianista che si solleva dalla seggiola. La parte più squisitamente musicale, cioè fatta di note e accordi, è intrinsecamente collegata ai rumori e agli ambienti, non c'è distinzione tra musica e "sottofondo", tutto dialoga, come appunto le linee di una cattedrale o di una villa palladiana. Un campionamento in particolare, quello di "Hells bells", è un estratto rallentato dalla celeberrima "Danza della Fata Confetto" dallo "Schiaccianoci" di Tchaikovskij. C'è un suono che, però, è il vero protagonista dell'album, tra organi a canne, suoni di vetro, pattern elettronici, suoni in reverse e scarpe da tip tap: il rumore bianco. Rumore bianco che viene modulato in vari modi, e così sembra un'onda d'acqua, pioggia, o al contrario una fiammella che brucia uno spago ("Missing moments") o imita disturbi elettronici, e a un certo punto compare pure quel ronzio che si ottiene toccando la punta di un cavo jack collegato ("All in the mind"). "Glitter in my tears" si presenta quindi come una raccolta di paesaggi diversi, che al puro ascolto semplice possono essere rilassanti e utili per la meditazione; forse però sono pensati più come musiche funzionali alla creazione di installazioni o comunque all'accompagnamento alla visione di opere d'arte. (Gilberto Ongaro)