LE RIVOLTELLE  "Play & replay"
   (2017 )

Cinque canzoni proprie e dieci cover: così si presenta l'album "Play & Replay" firmato Le Rivoltelle, una rock band tutta al femminile attiva dal 2005 e presente sulla scena sia in ambiti di impegno sociale che di intrattenimento. Il sound è un rock melodico che incontra spesso e volentieri lo ska, e la ruvida voce di Elena ricorda a tratti quella di Emma Marrone, riscontrabile dal primo brano originale che apre l'album "Io ci sarò". "Quello che resta" è il secondo pezzo nuovo che si trova nell'Lp, un pop rock sulla solitudine post relazione, con presenza decisiva delle tastiere. Il brano più caratterizzante però è "Addosso", un rock ska dove si prende coscienza che le ragazze in questione fanno parte dell'ultima generazione, "che crede alle favole" e alle "cose pratiche, il polpettone della mamma, le cartoline scritte a penna". E tutti i ricordi restano addosso, se li portano con sé. "Auguri scomodi" è un altro pezzo intelligente, una critica alla festa del Natale, spesso ridotta a massima espressione del consumismo all'americana e dei buoni sentimenti ipocriti, con riferimento esplicito ai naufraghi del Mediterraneo ("speranze che galleggiano nel mare"). Ottima questa decisione di rinfrescare un concetto affrontato per la prima volta dagli Ska-P in "Villancico" (dall'album "Eurosis" del 1998). Altra lodevole scelta quella della canzone "Io non mi inchino", dedicata alla vicenda del procuratore antimafia Nicola Gratteri. In questo pop rock c'è un pericoloso affiancamento tra le tradizionali processioni cattoliche per la Via Crucis ("terra di santi in processione, di soste obbligatorie non calcolate") e "l'inchino" che si aspettano i rappresentanti della criminalità organizzata. Più che una canzone ricorda una scena de "Il Padrino", quel montaggio efficace e terrificante che fa alternare scene del battesimo a quelle delle sparatorie. Passando alle cover, dovremmo entrare nel campo della filosofia per dire qualcosa su quest'operazione. A quanto pare è una scelta che accompagna Le Rivoltelle fin dall'inizio, fatto sta che si tratta anche di una tendenza sempre più seguita dagli artisti più famosi. Una cover rivisitata può aiutare il pubblico a capire il proprio stile, la propria interpretazione. Però addirittura dieci... La veste rock della band sta bene solo ad alcune canzoni, come "Vivere", il leggero brano reso celebre da Carlo Buti che ora sembra un divertente hair metal anni '80. E pure "Cuccuruccù" non sfigura, dato che anche l'intenzione per questo pezzo da novanta di Battiato era rock, seppur con meno distorsioni. Per la voce di Elena, queste cover ricordano quelle di Gianna Nannini in "Hitalia". Anche l'intensa interpretazione di "Fortissimo" di Rita Pavone non è male. Quando però si inizia ad affrontare "La musica è finita" di Califano, o "Guarda che luna" di Buscaglione, le canzoni così fatte vengono un po' appiattite e banalizzate. "Guapparia", di cui è famosa la versione di Mario Merola, non suscita, musicalmente parlando, grande stupore, anche se la voce cerca umilmente di mantenere la forza teatrale tipica partenopea. Il colpo più indigesto è riservato per "Margherita" di Cocciante. Già sofferente per l'interpretazione dell'intoccabile Fiorella Mannoia - che però io tocco e spintono se necessario - ora viene definitivamente uccisa diventando un ovvio lentone rock che alle parole "Corriamo per le strade" inizia a correre con un ritmo in levare, facendola sembrare una sigla per cartoni animati giapponesi di guerra. Ecco, queste cose hanno un senso se devono essere dissacratorie, ad esempio nel caso dell'irripetibile "What a wonderful world" sfottuta dai Ramones. Quella è una derisione del brano più emblematico di un certo modo di guardare al mondo da un punto di vista privilegiato e borghese, e il punk usando il sarcasmo ripete le stesse parole della canzone, che vengono così ridicolizzate. Negli ultimi tempi però, questa funzione è stata dimenticata, e assistiamo da parte di molte band, ad una "modernizzazione" di ciò che non serve che sia modernizzato. E la canzone di Cocciante non meritava questo. "Bang bang" è un'altra vittima: questa storia cantata da Nancy Sinatra (e poi da Cher) viene trasformata in ska. Sta al pubblico decidere se gradisce o meno, ad ogni modo i live di queste ragazze devono essere molto energici, non c'è nulla da eccepire sul quartetto tecnicamente parlando. Stessa sorte ska viene riservata a "Un giudice" di De André, che fa un po' soffrire il sottoscritto ma che forse avrebbe divertito Faber, che da anarchico era sempre avverso ad ogni mitizzazione. Strano esperimento chiudere l'album con il capolavoro di Riz Ortolani: "Fratello Sole e Sorella Luna", chiamato anche "Dolce sentire". Già affrontata da Claudio Baglioni, Le Rivoltelle si ispirano a tale versione per costruirne una propria senza infamia e senza lode, gradevole ma non eccezionale. E' forse un modo per fare pace con quella festa religiosa che le ha sabotate l'anno scorso? Per quell'episodio imbarazzante, solidarietà massima alla band che certamente non può essere boicottata per i propri presunti orientamenti sessuali. Un'opportunità persa, per il pubblico di quella festa, di divertirsi e al contempo avere sul palco qualcuno che porta dei messaggi importanti, che a mio avviso sono il loro vero reattore potente, di cui gli italiani sonnacchiosi hanno sempre bisogno. Per cui, per il futuro speriamo di sentire meno cover e più canzoni nuove, che proseguano il filone impegnato, anche se accostato al sano divertimento. (Gilberto Ongaro)