COLDPLAY  "A rush of blood to the head"
   (2002 )

Il secondo disco dei Coldplay era molto atteso: il precedente "Parachutes” aveva fatto cantare, fischiettare, immalinconire o innamorare tante persone non solo oltremanica, che avevano bisogno della ricetta semplice ma eseguita in maniera impeccabile dal quartetto londinese. Chi frequenta, in qualsiasi maniera, l’ambiente degli appassionati di rock sa però con quale diffidenza vengono osservate le opere in cerca di conferma di un gruppo come i Coldplay, diffidenza in parte giustificata dalle tante fregature che le orecchie (e i portafogli...) dei suddetti hanno subìto negli ultimi anni; le cronache, e le sincere ammissioni dei nostri nelle interviste, dimostrano che le difficoltà ci sono state, si parla di canzoni ripensate e reinterpretate e di conseguenza reincise. Il successo è un peso, e agire fuori dal contesto che si era creato intorno a loro, per questi 4 ragazzi era un’impresa non facile. Ma se ci si avvicina al nuovo lavoro dei Coldplay come se fosse il disco di un gruppo qualsiasi, con una giusta dose di obbiettività, ci si può rendere conto che, ad esempio, il singolo "In my place", pur nella palese mancanza di originalità e pur non raggiungendo il valore di quella "Yellow" che li aveva in precedenza lanciati, non è poi malvagio, grazie soprattutto alla voce di Chris Martin che è davvero bella. Proseguendo lungo l’album ci si rende conto di come effettivamente il lavoro in studio sui brani sia stato meticoloso e certosino, una cosa che probabilmente ha fatto perdere un po’ di spontanea freschezza ai brani. Non è venuta meno, però, la capacità dei Coldplay di suonare e cantare belle e semplici melodie, e di saperle interpretare usando i toni giusti; ne consegue che "A rush of blood to the head" è un disco che cresce con l’aumentare degli ascolti, dove forse per qualcuno invece "Parachutes" soffriva della sindrome contraria. Così ci si può lasciar ammaliare dalla tenera malinconia di “Warning sign”, dal perfetto equilibrio della struggente title-track, e da brani più cupi e potenti come l’iniziale ‘Politik’ e "A whisper", un brano che tradisce qualche credito agli U2. Certo sono canzoni, semplici, magari non originali e di maniera, ma se alla musica a volte non chiedete necessariamente di farvi stupire o novità all’ultimo grido, questo può essere il vostro disco. (Lorenzo Bazzani)