

			
CESARE MALFATTI  "Canzoni perse"
   (2017 )
		
			 Tappa da solista numero cinque per l’ex La Crus Cesare Malfatti che, con l’uscita di “Canzoni perse”, prosegue il sodalizio artistico con la singer Chiara Castello (già con gli I’m Not A Blonde) intrapreso un paio d’anni fa col precedente “Una città esposta”. In aggiunta, al banco mixer c’è Mario Conte, apprezzatissimo ricercatore sonoro e già collaboratore di  Colapesce. Trattandosi, comunque, di un lavoro cantautorale alternativo, Cesare scala vette  quasi vergini, con le sue composizioni algide ma fulgide, e lo si fiuta disseppellendo, all’entrata,  il “Ricordo” in cui si nuota in un lago d’elettronica per tracciare, da subito, la striscia stilistica che ci attende. Il singolo “Novembre” rende appieno la cupezza di un mese malinconico con una drum-machine che non concede troppe variabili con mistica percussività.  Poi,  si entra in pieno clima spaziale in quanto  i loops di “Lo sai lo sai” firmano trame di smarrimento cosmico. Qua e là si scorgono richiami a Ustmamò e Matia Bazar, ma Cesare non disdegna di addentrarsi nella foresta dei Cure con “Per amore di te” con  aggiunta di radure personali decisamente ben curate.  All’appello, anche il dream-pop risponde “presente!” con “Dividimi”, splendido episodio con sciami di suoni tetri e claustrofobici. Ma, fra tante ipnosi estranianti, c’è anche la traccia a presa diretta: “45 giri”, in cui l’ugola di Chiara  ammalia l’orecchio con soffici tratte carezzevoli. Dispiace segnalare la presenza di “Un’ombra”, collocata proprio in chiusura dell’album, con un arrangiamento un po' esile che non riproduce  esattamente un’alchimia  per congedarsi  memorabilmente.  Ma un’ombra non inficia lo spessore crepuscolare intrapreso da Malfatti che ha scelto, con estro inopinabile, soluzioni strategiche per infondere alla sua espressione eterea un intarsio tra antico e moderno, arricchendo le sue creature originarie  con l’influenza e l’apporto di Stefano Giovanardi (un biologo con l’inguaribile febbre per l’elettronica) e la delicatezza vocale della succitata Castello. Se queste erano “Canzoni perse”, ben venga lo smarrimento, se poi Cesare ce le fa ritrovare levigate e cesellate con nuovi aspetti e con brillanti bagliori. (Max Casali)
Tappa da solista numero cinque per l’ex La Crus Cesare Malfatti che, con l’uscita di “Canzoni perse”, prosegue il sodalizio artistico con la singer Chiara Castello (già con gli I’m Not A Blonde) intrapreso un paio d’anni fa col precedente “Una città esposta”. In aggiunta, al banco mixer c’è Mario Conte, apprezzatissimo ricercatore sonoro e già collaboratore di  Colapesce. Trattandosi, comunque, di un lavoro cantautorale alternativo, Cesare scala vette  quasi vergini, con le sue composizioni algide ma fulgide, e lo si fiuta disseppellendo, all’entrata,  il “Ricordo” in cui si nuota in un lago d’elettronica per tracciare, da subito, la striscia stilistica che ci attende. Il singolo “Novembre” rende appieno la cupezza di un mese malinconico con una drum-machine che non concede troppe variabili con mistica percussività.  Poi,  si entra in pieno clima spaziale in quanto  i loops di “Lo sai lo sai” firmano trame di smarrimento cosmico. Qua e là si scorgono richiami a Ustmamò e Matia Bazar, ma Cesare non disdegna di addentrarsi nella foresta dei Cure con “Per amore di te” con  aggiunta di radure personali decisamente ben curate.  All’appello, anche il dream-pop risponde “presente!” con “Dividimi”, splendido episodio con sciami di suoni tetri e claustrofobici. Ma, fra tante ipnosi estranianti, c’è anche la traccia a presa diretta: “45 giri”, in cui l’ugola di Chiara  ammalia l’orecchio con soffici tratte carezzevoli. Dispiace segnalare la presenza di “Un’ombra”, collocata proprio in chiusura dell’album, con un arrangiamento un po' esile che non riproduce  esattamente un’alchimia  per congedarsi  memorabilmente.  Ma un’ombra non inficia lo spessore crepuscolare intrapreso da Malfatti che ha scelto, con estro inopinabile, soluzioni strategiche per infondere alla sua espressione eterea un intarsio tra antico e moderno, arricchendo le sue creature originarie  con l’influenza e l’apporto di Stefano Giovanardi (un biologo con l’inguaribile febbre per l’elettronica) e la delicatezza vocale della succitata Castello. Se queste erano “Canzoni perse”, ben venga lo smarrimento, se poi Cesare ce le fa ritrovare levigate e cesellate con nuovi aspetti e con brillanti bagliori. (Max Casali)