IANNIS XENAKIS  "Persepolis"
   (2018 )

“Persepolis”, la meravigliosa e fondamentale opera del compositore d’avanguardia franco-greco Iannis Xenakis, pubblicata nel 1972, riceve finalmente una ripubblicazione nella sua forma originaria, mixata dal master originale (ed appena uscita per Karl Records). Questa veste ridà nuovo vigore alla composizione e dimostra quanto Xenakis sia uno degli autori di classica contemporanea più influenti del secolo scorso.

Divisa in due parti, “Persepolis” ha una durata di 55 minuti e ciascuna parte è ulteriormente suddivisa in movimenti (cinque la prima, quattro la seconda), che scandiscono i ritmi, gli equilibri e il timing di un’opera che a tratti è figlia di Pierre Henry, Berio e Reich e a tratti anticipa invece l’ambient e l’industrial che a breve si sarebbero affermati nell’underground musicale del tempo. Il pezzo era stato commissionato a Xenakis al fine di celebrare il 2500° anniversario della fondazione dell’impero persiano da parte di Ciro: le rovine di Persepoli affascinavano Xenakis e si decise che l’opera doveva celebrare la città e la grandezza che a essa appartenne. E da questa scintilla fu tutta musica. Ed emozione, sentimento, talvolta rumore. Il carattere impulsivo e sincero di Xenakis, partigiano nella testa e nel cuore, pervade ogni singolo attimo di questa magnifica composizione. La musica, si diceva: è qui che giace ogni indizio. Se nel primo movimento della prima parte tutto sembra partire in sordina, giunge inatteso uno scoppio violento che coincide con l’inizio del secondo movimento e con lo spalancarsi di una fase estremamente caotica, inquietante, tesa. Il propagarsi di esplosioni elettroniche rende tutto il pezzo un insieme di frammenti carichi di speranza e dubbi, di pace instabile e di ammirazione per un passato irrecuperabile. I frammenti continuano a mutilarsi e dividersi fino a giungere a un punto di non ritorno con il quinto e ultimo movimento della prima parte.

Le eruzioni vulcaniche che permeano “Persepolis” si scontrano con la nostalgia di qualcosa che non può tornare e che perseguita l’autore e l’idea di arte che egli veicola e difende: il secondo movimento rappresenta questa caccia all’ignoto ostica e dolorosa, qualcosa che non raggiunge gli obiettivi che l’artista si era prefissato ma che esplora continenti che nessun altro uomo era ancora riuscito anche solo a visionare dall’altro. Nel mezzo, però, paure, guerre e delusioni, ferite che solo la musica – ancora un propagarsi di particelle elettroniche, flussi di rumori provenienti da una fabbrica che a breve, forse, chiuderà i battenti – può tentare di aggiustare. I quattro movimenti della seconda parte, che portano a una conclusione che sembra spegnersi in un naufragio in mezzo al Mediterraneo o in una piazza invasa da un popolo inferocito, offrono un tentativo di riconciliazione tra l’artista e la sua opera, sempre così misteriosa, invisibile e nascosta, che dopo tanta sofferenza cede alle lusinghe e cala, per qualche minuto, il suo velo, lasciando intravvedere i tratti del proprio viso. (Samuele Conficoni)