CULTURE CLUB  "Life"
   (2018 )

Ecco una di quelle occasioni in cui si potrebbe sciorinare il “dunque, dove eravamo rimasti” usato, tanti anni fa da Enzo Tortora. Eravamo rimasti al 1986, anno dell’ultimo album della band nel momento magico? Nel 2000, quando la prima reunion portò a quello che era, prima d’ora, il lavoro più recente? O nel 2014, quando “Tribes” venne prima anteprimizzato e poi abiurato per problemi alle corde vocali di George, Boy? Eppure i Culture Club sono tornati in giro da un bel po’, facendo tour americani e non solo da almeno 6-7 anni, e quindi il disco nuovo (ah, che termini retrò!) era solo da ufficializzare e, stavolta, pubblicare. Ma, appunto, il problema è trovare il punto di ripristino, perché “Life” non si ricollega ai tempi d’oro: tradotto, una nuova “Karma chameleon” non c’è, e dopo 35 anni sarebbe stato anche ridicolo. E nemmeno riesce a ricollegarsi alla carriera solista di Boy George, fin troppo complessa ed eclettica per permettere di trovare un suo, diciamo, stile. Qui ci sono richiami sparsi, il tanto amato reggae che già in altre occasioni salvò vita e carriera dei Nostri (“Let somebody love you”, per intenderci), e i tre amici di George – che sono rimasti gli stessi dei vecchi tempi, ovvero i tamburi di Jon Moss, il basso di Mikey Craig e la chitarra di Roy Hay... e peccato che Helen Terry da anni abbia litigato con Giorgino e, quindi, portato altrove la sua voce da corista – a pompare una musica funkysoul che sarebbe riduttivo, anzi del tutto errato, definire anni '80. Perché, come detto, qui di anni '80 non c’è proprio niente, se non quel ricordo di quando il reggae bianco stava cercando di prendere piede in Inghilterra nei primissimi vagiti del decennio. E allora, a chi potrebbe essere rivolto questo disco? A tutti e a nessuno, perché troppo camaleontica (ah, ah, la citazione) è stata la carriera di Boy George per trovare una classificazione: se vi divertiva il personaggio, se accettate l’idea che la voce non sia più quella di un tempo benchè assolutamente riconoscibile, se volete sorprendervi all’idea che il ragazzo di un tempo sia invecchiato bene e non sia nemmeno particolarmente kitsch, eccovi qua il disco perfetto. Da ascoltare il sabato mattina, a finestre aperte, per dare aria alla casa, alle casse del vostro stereo, senza nemmeno bisogno di riesumare spalline, cappelli a cilindro e treccine. La maturità passa anche da questo, con gioia. (Enrico Faggiano)