JULIEN BAYLE  "Violent grains of silence"
   (2018 )

Le creazioni sonore di Julien Bayle sono imprescindibili dalla propria arte visual. Ogni impulso acustico corrisponde a forme geometriche, o righe, proiettate durante i concerti. Eppure, ascoltando i 22 minuti dell’album “Violent grains of silence” (appena uscito per Elli Records), anche senza l’ausilio delle immagini, ci si può costruire un proprio immaginario. Le nove tracce dell’Lp, quasi tutte di lunghezza breve (in media due minuti), sono costituite da rumori. Rumori modificati, onde sintetiche di tutte le forme (quadrata, triangolare, a dente di sega, sinusoidale e così via). Se in “Dens” l’onda quadra è piuttosto aggregatrice dell’attenzione, “Sur_” incita e valorizza le frequenze più gravi di un suono basso ottenuto da un macchinario. Tutte le distorsioni sono reali. Gli audio cosiddetti “che clippano”, ovvero le registrazioni che risultano troppo forti di gain, distorcono lo spettro sonoro, e solitamente sono frequenze che si tagliano. Qui invece tali “errori” vengono mantenuti apposta, ed anzi ricercati e sparati in cuffia, come in “Phas”, dove c’è un rapidissimo tremolo su questi disturbi distorti. E i rumori rimbalzano a sinistra e a destra. Dopo un po’, sembra di ascoltare un nastro accelerato, o riavvolto all’interno, che possa nascondere al suo interno una musica diciamo normale, ma diventata oramai illeggibile. Sensazione marcata in “Disr”, un minuto tagliente troncato improvvisamente da “Cut_”. La velocità impressionante dei battiti è così ipnotica, che per un attimo sembra un elicottero che si avvicina minacciosamente, oppure l’arpeggiatore di “On the run” dei Pink Floyd. Situazione completamente rimossa senza soluzione di continuità, tramite “Unpr”, dove ci assalgono rumori di ferro battuto, dapprima, soppiantati poi da un graffio simile al rumore bianco modificato, che a furia di ascoltarlo sembra una rullata di rullante. “Post” rimette al centro una nota di basso aggressivo, mentre in “Post_” (nome uguale ma con il trattino basso in più) anche i rumori sembrano subire un reverse, accompagnato da un campanello grave suonato con insistenza. In “Satu” infine sembra di passare da una stanza all’altra, tutte estese e con largo eco. Può essere un garage, una piscina per tuffi tanto è liquido il suono. Ognuno però può trarre la propria conclusione dopo l’ascolto, o andare a guardare l’interpretazione propria dell’artista, e dei propri visual! Sta di fatto che, nonostante l’assenza di qualsivoglia elemento musicale, questa accozzaglia di rumori è davvero ammaliante e non fa schiodare la mente. Anzi, se la testa si distrae, crea fantasie bellissime ispirate inconsciamente dall’ascolto. (Gilberto Ongaro)