PAOLO GERSON  "Le ultime dal suolo in alta fedeltà"
   (2019 )

Paolo Gerson, frontman dei noti Gerson, torna con un disco cantautorale, nel quale però permane l’intenzione punk della band milanese. “Le ultime dal suolo in alta fedeltà” mantiene i tratti caratteristici nella scrittura dei testi: giochi di parole e schiettezza. Il lotto di nove canzoni parte con “Mai e anche sempre”, su amare considerazioni e dettagli fisici: “Col talento hai abboccato alla lenza, ma se spegni tutto senti il ronzìo (…) I bracciali che ti stringono i polsi, lasciano il segno verde sopra pelle (…) tutti che ascoltano, nessuno che sente (…) E alla fine ci troviamo a schiacciare chi è caduto proprio sotto al traguardo, sopra le rotaie si va a sdraiare, e a lavoro tutti quanti in ritardo”. Anche se il rock qui non è così abrasivo come nella band di tempo fa, le parole restano taglienti. Con “Colpa degli altri”, ci si focalizza laconicamente su chi si prende le colpe per tutti, dai tempi di Adamo ed Eva: “Che sia la mela o solamente il serpente, un estintore, un gitante, un gommone, una finestra di questura un po' troppo sporgente”. E chi ha orecchi da intendere intenda, da Pinelli fino a Genova 2001. Paolo non disdegna comunque un cantato melodico, anche nel rock energico e al contempo malinconico di “Domicilio confuso”, mentre si affronta il problema cardine dell’età adulta: l’assottigliarsi delle certezze e delle convinzioni, a confronto con le contraddizioni. “Basta un secondo, e saltano tutti i piani, e salti i cancelli, anche se abbaiano i cani a volte due gambe sono poche, altre non servono a niente se le usi per tremare o inginocchiarti solamente (…) la strada l’ho scordata già da un pezzo, lo farai anche tu”. Questo disorientamento proviene anche delle delusioni, che iniziamo a conoscere da piccoli, come cantato in “Silenzio per favore”: “Tiri la barba a Santa Claus e appare tuo padre, che ride”. Una chitarra acustica introduce “Se ci passi con la testa”, che confronta la facilità dei gatti di incunearsi in stretti meandri, mentre noi ci dimentichiamo i nomi delle persone appena si sono presentate. E contiene una sorta di confessione: “Volevo solamente far sembrare bello uno spettacolo di pessimo livello, ma la gente così stupida non è”. Il richiamo più diretto al rock ''dritto'' c’è nel singolo “Con tutta una morte davanti”, che deride la frase fatta sulla vita davanti, che stona con chi ha chiuso i sogni di gloria nei cassetti e alla fin fine sceglie di “Rendere orgogliosi i parenti”. E l’assenza di coraggio diventa così virtù: “Il più bravo a schivare il pericolo e a schiantarsi sul morbido sarà il prossimo eroe”. Ancora introspezione eclatante nel lento rock “Zero onde”: “Non ho bisogno di me, non mi sono mai sentito (…) ed è così che si finisce a non leggere i cartelli, poi non ti accorgi delle curve, ci si schianta e ci si perde, si scambia il rosso con il verde”. Con un rock allegro ma non troppo si inizia a fare “La conta dei danni”: “Chi di noi se lo ricorderà più, che ci è bastata una pillola amara da mandare giù. Ho una valigia pronta a essere chiusa, e una divisa per le sfide perse”. La forza delle parole di Gerson sta nell’essere così incredibilmente realiste ma equilibrate, senza alcun compiacimento nella sofferenza, né un’eccessiva sdrammatizzazione inutilmente autoironica. Parole che hanno il sapore dell’inattaccabilità. E il disco finisce con una canzone cautamente ottimista, “Tartarughe e farfalle”, credibile proprio perché speranzosa, nel suo possibilismo realistico: “Non sta scritto da nessuna parte, che a ogni cosa va trovata una risposta (…) non ci è dato di sapere se dopo un salto, un atterraggio di sfortuna, qualche volta puoi guarire (…) tutto ad un tratto è passata la paura, tutto ad un tratto la strada e sicura”. Paolo Gerson non deluderà i fan di vecchia data, perché per fortuna è sempre lui, nonostante la riduzione dei bpm. E se cercate i vecchi cliché non li troverete, come canta lui in maniera suggestiva: “Non so chi cercavate, ma non abita più qua”. (Gilberto Ongaro)