WARDRESS  "Dress for war"
   (2019 )

A volte succede che un progetto naufraghi appena nato, e resti nel cassetto per 33 anni, per poi tornare fuori ancora intatto. Così è stato per i Wardress, band nata nel 1984 e scioltasi nel 1985. Nel 2018 i membri decidono di rispolverare le demo e rimettere in piedi l’idea. E così i Wardress sfoderano il loro abito da guerra, questo “Dress for war”, album che tiene con sé l’energia del metal sfavillante anni ’80, con le tecniche di registrazione aggiornate. Torniamo quindi a parlare di NWOHM come fosse ieri: power chords, cavalcate di chitarra, andamento melodico à la Iron Maiden e cori da cantare tutti saltando. Non sarà il Rock in Rio, però l’entusiasmo c’è tutto. Dieci canzoni ruvide, cantate da una voce acuta e potente, tranne la prima che è un recitato che precede uno strumentale. Le parole pronunciate chiariscono da subito il clima bellicoso dell’LP: “When the time had come to march, we got drunk on the idea to fight until victory (…)”. La canzone che dà il nome alla band insiste sulla forza sprigionata (“See the fire in his eyes”), mentre “Thout shalt now kill” sbeffeggia il quinto comandamento, che cambiando una lettera si trasforma in un ordine di guerra, sopra un ritmo marziale, seguito da uno special lento e cupo come un pezzo dei Black Sabbath. “Mad raper” gioca ancora con gli accenti anticipati di batteria a fine misura, stilema tipico e ancora efficace. “Metal melodies” invece è una corsa sfrenata ed epica. Non poteva mancare, da una band votata alla guerra, un omaggio al signore oscuro. “Dark Lord” è un lento melodico, con arpeggi puliti e un incedere solenne sui timpani… almeno fino all’inizio. Poi si torna a correre. Un affannoso respiro profondo introduce “Betrayal”, brano lento e trascinato, preannunciato nel discorso iniziale come fulcro nel racconto del disco. “Atrocity” rimette l’acceleratore per scatenarsi con parole di sangue, mentre “Werhen” è il pezzo più doom dell’album. Infine una conclusione tra lo sportivo e il battagliero: “Metal League”. Con quest’ultima corsa ci salutano i cavalieri del metal, rievocando la fratellanza e l’unione tra gli adepti del genere, che da sempre è una delle più salde ed invidiate dagli altri ambienti, che paradossalmente, pur non parlando di “war”, sono molto più spietati e competitivi. (Gilberto Ongaro)