FRAN E I PENSIERI MOLESTI  "Anomalia"
   (2019 )

Fran e i Pensieri Molesti è una nuova band torinese, nata nel 2016, che si inserisce nel filone con quell’approccio mezzo cantato e mezzo parlato accelerato, tipico degli Eugenio in Via di Gioia, ma con suoni più elettronici. Nell’interpretazione della cantante si sente anche un eco de La Rappresentante di Lista, non a caso hanno calcato i palchi a fianco a queste formazioni. L’album “Anomalia” contiene dieci canzoni che mostrano chiara la loro direzione indie pop elettronica. Parole cantate con autoironia, e quel misto tra realismo sociale e cinismo rassegnato, tanto caro a quel mondo di club color compensato, fatto di panchine di bancali. Il singolo “Mania” affronta un addio non accettato, con difficoltà: “Per dimenticarmi il tuo profumo ho impiegato degli anni”. Si nota nell’arrangiamento una citazione alla celebre “Glorious” di Andreas Johnson. Secondo singolo, “Verderame”, non lascia capire se stia deridendo l’interlocutore a cui si rivolge, o se ne provi affetto: “Tu, che arrivi in ritardo agli appuntamenti otto giorni su sette, a te che non importa del treno che passa una sola volta, tu che in questa vita ti perdi senza senso dell'orientamento e leggi quel tuo libro di poesie sul treno che intanto hai perso. Siamo un insieme di casualità necessarie ad essere qua”. L’idea dell’occasione persa, della competizione a tutti i costi, proprio non va giù a Fran, e il concetto torna in “Controtempo”: “Giovani pieni di forze arrancano affannati, partecipando a una corsa a cui sono stati obbligati. Quella chiamata moderna è la società dell’apparenza, la stessa che non accetta le rughe sul volto e la decadenza”. Con “Phil” il pensiero inquieto si sposta su un figlio, visto come una minaccia. Si indaga un complesso di Edipo visto dalla madre: “Phil non si lascia sgridare e mi fa urlare in mezzo al supermercato. Phil sa tutto di me, le ossessioni del mio cervello, Phil a volte è cattivo, mi vuole fare del male con un coltello (…) non ho un fidanzato perché lui non avrebbe capito”. Con la canzone successiva, “Legami”, il soggetto passa dal figlio a un uomo, e la minaccia lascia il posto ad un sofisticato erotismo, degno di Morticia Addams: “Lègami, legàmi (…) stringimi i polsi senza fermare la pulsazione (…) tienimi rinchiusa nel taschino della giacca, accanto alla tua penna blu, dai sporcami le guance d'inchiostro e falle diventare rosse di pianto, tanto non m’importa più (…) è colpa mia, colpa mia”. “Crepa” irride quello che dovrebbe essere il disagio provato nel non essere donna modello “appropriata”, che invece lascia indifferente la protagonista: “Non ho mai imparato a perdere il controllo, finita una dieta cominciata il lunedì, non mi sono mai tagliata i capelli per piacerti (…) non ho mai capito il senso dei centri commerciali (…) non ho mai capito chi finge l’orgasmo”. Il recitato affianca il cantato in modo più importante ne “La luna su Torino”, dove il desiderio d’amore è circondato da pensieri ambientali: “Vorrei che l’inquinamento luminoso mi permettesse di lanciare il pensiero tra le stelle”. Chitarra acustica e arpeggi synth pop caratterizzano “Anemone”, che regala immagini da commedia di Woody Allen: “Andiamo a vedere un film impegnato, russo sottotitolato, e lasciami annegare nella mia bolla di apatia”. Clima decisamente più drammatico con “Marta”, racconto riportato tramite l’anafora “Mi hanno detto che”, e snocciola la vita di una donna che resta “conforme” per paura, oppressa dal “tappeto del cielo”, ma per questo cerca i posti degli emarginati, che mettono in discussione le certezze borghesi: “A lei piacciono i posti isolati dove vanno puttane e drogati, lei si mette seduta a ascoltare il racconto di chi è disconnesso (…) Mi hanno detto che Marta è irreale e misura la tua essenza in un momento, l'indice di gradimento della verità, che dissimulare è una specialità di questa società”. “Lucciole”, come il titolo lascia intuire, affronta la prostituzione, ma quella più ingiusta, quella minorile: “Ninna nanna ninna oh, questa bimba a chi la do, la darò all’uomo bianco che le porta via l’incanto (…) si avvera l’incubo della notte, fragili come bambole rotte”. Fran espone così i suoi pensieri molesti, cercando di rappresentare un’anomalia rispetto ai modelli precostituiti di donna (madre cristiana eh-ehm), in una cornice musicale che però strizza l’occhio ad un preciso pubblico definito, probabilmente composto da persone che già condividono questo tipo di critica, ottenendone così una conferma rafforzata dal palco. (Gilberto Ongaro)