SOSSIO BANDA  "Ceppeccàt"
   (2019 )

I sette peccati capitali sono ricorrenti nell’arte e nella letteratura. Dall’indimenticabile e terribile film “Se7en” fino ai sette gusti di un noto gelato, i vizi sono stati sviscerati e sfruttati ogni dove. La Sossio Banda ha deciso di celebrare i propri dieci anni di attività pubblicando “Ceppeccàt”, un album dove le sette trasgressioni vengono raccontate attraverso il loro sound meticcio. Le loro sonorità tipicamente pugliesi si fondono con ritmiche balcaniche ed altro ancora, fungendo da parallelo al tema, dove i peccati non vengono predicati con moralismo; al contrario, si fanno indicatori di umanità. Umanità che in questo aspetto delle debolezze si somiglia tutta, al di là dei confini nazionali che la musica della Sossio Banda supera. La ritmica sfrenata di “Ammìdie” apre il disco con l’invidia, tra risate maliziose della voce femminile e fiati scatenati. “Sàziati” invece affonda sulla gola, marcando il fatto che questo è un vizio che non tutti possono permettersi. Anzi, diventa un privilegio dei potenti che si basa sul predominio sui più poveri (“Fanno la guerra all’indigenza”). Interessante che a metà brano, la musica folk si apra a una zona psichedelica, con una voce maschile distorta che pare provenire da tutt’altro posto. “L’avaro” è un valzer con fisarmonica protagonista, che ironizza su un tirchio che programma di fare tanti bei regali… domani. “Ira” è un altro dei peccati su cui riflettere. A parte la violenza inflitta verso gli innocenti, a volte gestire una sana rabbia è servito a organizzare rivoluzioni e chiedere (e ottenere) giustizia. Si tratta di un 7/4, messo in evidenza dal gioco di cantare i numeri fino a 10 prima di arrabbiarsi. I fiati e le percussioni ci accompagnano in “Timbe”, uno dei brani cantati interamente in dialetto, dove la fisarmonica è suonata con virtuosismo. Chi scrive non afferra bene il pugliese, ma per esclusione qui si parla di accidia. “Lui e lei” cambia totalmente atmosfera, con un carillon che ci porta in una fiaba gotica. Lui e lei sono Amore e Lussuria. Le parole qui fanno un salto di qualità: “Non puoi nascondere il mare dietro l’indice, non puoi incatenare una nuvola, sentire il rumore di una lacrima, raccogliere il profumo di una melodia, rapirne le note, prima che voli via. Magia d’innamorarsi, follia, l’ardire di amarsi. Danzano polvere e verità cruda, sull’eco muto dell’anima muta, annegan delusi nel suo dolore gli occhi tristi del povero amore”. “Ceppeccàt” finisce con “Chisse so loure”, dove il sax soprano si lancia in un assolo jazzistico. La superbia viene narrata non come peccato privato, come vanità, bensì come attitudine pubblica e sociale: “Questa è la razza superiore (…) la specie regina c’ha cumanna”. Poi inizia ad elencare tante nazioni, dal Centro Africa all’Ucraina - politicamente significativo che sia nominata tre volte la Palestina. Questi sono loro: “Chisse su loure, gli uomini”, frase che chiude l’album, a ricordare la nostra uguaglianza e per evocare una dimenticata fratellanza. (Gilberto Ongaro)