JOHN CHANTLER, STEVE NOBLE & SEYMOUR WRIGHT  "Atlantis"
   (2020 )

John Chantler e la sua appassionata ricerca nella dissezione del suono e delle sue potenzialità nei sintetizzatori, incontrano il batterista Steve Noble e il sassofonista Seymour Wright a Stoccolma, per incidere in un giorno solo “Atlantis”, appena uscito per 1703 Skivbolaget Records. Si tratta di tre improvvisazioni al contempo sperimentali e fortemente espressive. Ad esempio, “Class I – A single entrance created from a gap in the bank”, all’interno dei suoi ventidue minuti, contiene ad un certo punto una sessione solitaria di sax di Wright, che sembra essere un vero pianto umano, raggiunta poi dai disturbi digitali di Chantler che ci fanno entrare in una dimensione tecnologica surreale, il tutto corroborato dalle rullate di Noble sul rullante senza cordiera, per marcare l’elemento timbrico “corporeo” della percussione, in sfavore di quello ritmico. Il ritmo però si farà sentire, agitato, in chiusura. “Class II – Two entrances, diametrically opposite each other” apre con un sassofono dal suono acuto così disturbato, che pare essere uno dei tanti suoni synth di Chantler, e invece resta sempre Seymour. Il brano dialoga principalmente con le pause, col silenzio, interrotto dai suoni e dai rumori in maniera lenta e febbrile. Tra i giochi di Chantler c’è da notare un simpatico sbuffo da trenino. Ma con “Class III – Four entrances, facing each others in pairs”, gli ultimi undici minuti di improvvisazione iniziano con delle note di Wright, dapprima minacciose e sotterranee, dopodiché sempre più eteree. Per i primi sei minuti restano al centro dell’attenzione, pressoché indisturbate. Poi Steve inizia a percuotere gentilmente fusti e piatti. E dopo l’attesa, rieccolo John, con dei suoni stavolta acidi e nasali, mentre Noble inizia a battere sul rullante con più forza (e con la cordiera agganciata). La terza sessione finisce sfumando, lasciando intendere che è stata mantenuta solo una precisa selezione del materiale. Il trio deve essersi quindi divertito parecchio e per molto più tempo di quel che ci è concesso ascoltare. Ma non lo sapremo mai, il resto rimarrà sommerso, come Atlantide, appunto. (Gilberto Ongaro)