USSSY  "Po krugu"
   (2020 )

Raro che una rock band mi metta in difficoltà, a capire cosa stia combinando, che carte stia mescolando. Ci sono riusciti gli Usssy. Russi, ed attualmente un duo chitarra-batteria, in passato partivano dal noise-rock, con virate nel death, nel blues e nella techno. E già la situazione di partenza era incasellabile a fatica. Adesso, dopo aver assorbito influenze persiane ed afgane, esce l’album “Po krugu” (uscito per la Koolarrow Records), traducibile con “In un cerchio”, dove si utilizza la scala araba, quella con i quarti di tono, che in Occidente spesso suonano come delle stecche. Invece si tratta di note che stanno a metà tra i nostri semitoni (a metà tra do e do#, per esempio). Ed applicate alla chitarra elettrica in un contesto psichedelico, rendono la musica davvero surreale, per le nostre orecchie. Magari in Asia esiste tutta un’intera tradizione rock microtonale consolidata che ancora non conosco, però qui suona sorprendente, questa scelta degli Usssy. “Gnevnyye glaza” apre l’album e subito dimostra il fascino di queste scale, su suoni elettrici. “Strazh pusti menya” per un po’ ci rassicura, con sound sì potente e a tratti death, ma la chitarra segue una scala minore armonica che riconosciamo, fin dai tempi di “Misirlou”. Ma la titletrack, nel suo suggestivo inciso melodico, ritorna a utilizzare i quarti, in un contesto folkeggiante. L’utilizzo fluido del delay in “V ptitsakh ctho” crea una certa atmosfera sospesa a inizio brano, nonostante il tambureggiare forsennato della batteria. L’angoscia cresce col crescendo dinamico. Dicevamo dell’Afghanistan. Nel comunicato ci raccontano di una festa alcolica, passata con Amjid Malang che suona il rabab (da cercare su YouTube, è spettacolare). Ora c’è un brano che porta il suo nome: “Amjid tribyut”, dove per la prima volta sento un sound death in 3/4! Da noi si farebbe solo per fare uno scherzo da metallari burloni. Invece loro riescono a creare seriamente un valzer metallico, che tra l’altro contiene due falsi finali, per poi prorompere in una devastazione conclusiva. Chapeau. La potenza si dimostra anche in “Zarif 3000”, per entrare poi in una particolare zona post rock psichedelico con “Lyutyy ogon”. Quando deflagra, la distorsione con la scala araba è l’apice straniante della sperimentazione dell’album, su questo stile. “Intykvip” insiste sulla direzione, con l’inserimento dell’acustica nell’arrangiamento. L’”Outro” conclude il disco con una semplice schitarrata riverberata, che riprende gli accordi di “Strazh pusti menya”, il brano che più veniva incontro alle orecchie dell’Ovest. Usssy, oh sì! (Gilberto Ongaro)