STEFANO BAROTTI  "Il grande temporale"
   (2020 )

Vicende comuni: quando piove apriamo l’ombrello, giusto? Però, può talvolta accadere che, quando artisti come il toscano Stefano Barotti scatenano “Il grande temporale” in un’elegante restyling cantautorale, allora non è una brutta idea lasciarlo chiuso, per farci bagnare dalle sue 11 precipitazioni pop-folk,jazzy, prog, che rasserenano, però, all’istante, oltre le più inaspettate previsioni di miglioramento. Al quarto album, Barotti alza l’asticella qualitativa facendo la spola tra Italia e States, per confezionare un lavoro cesellato con finezza, chiamando a raccolta una ventina di altis(u)onanti ospiti nostrani e d’oltreoceano (tra questi: Joe e Mark Pisapia, Jono Manson, Mark Clark, Fabrizio Sisti, Vladimiro Carboni, John Egenes e many more). Aprendo con la titletrack, Stefano porge un vassoio di acustica con divagazioni semi-spettrali in tinta Floydiana e non si pone il problema di sterzare, poi, sulle linee reggae di “Painter loser” che albeggiano su Giamaiche modernizzate, e “Tra il cielo e il prato” c’è una vellutata aria fluttuante, nella quale lo smalto narrativo del Nostro, lacca empatie sognanti. La grande linea di basso in “Aleppo” fa pulsare un atto di gran classe, condito con tocchi di garbate sonorità. Inoltre, si toglie lo sfizio evasivo con il ludico blues di “Mi ha telefonato Tom Waits” che strizza l’occhio a tratteggi jazzy-prog, ma è nei morbidi afflati di “Quando racconterò” e “Marta” che echeggia il nucleo emozionale del suo iridato cantautorato, aggraziato dal sussurro sottotraccia della debut-singer Laura Bassani. Invece, con “Enzo”, Barotti propone una canzone (a suo dire) “…scritta con la rincorsa” per provare ad inseguire quell’estro ante-litteram che fu di Jannacci, col risultato di riuscire a cogliere apprezzabile bizzarria testuale come un free-lance dello swing-jazz. In finale, ci tiene a rimarcare che, quanto proposto, sia per lui “Tutto nuovo”, con l’intima contemplazione di una fusion moderata e suggestiva. Quindi, tra un tuffo nei seventies e un monitor acceso sul futuro, “Il grande temporale” si abbatte nell’underground indossando abiti di buona innovazione per merito di Stefano Barotti, artigiano della parola e stiloso realista visionario. (Max Casali)