MARC SARRAZY & LAURENT ROCHELLE  "Cyclotimic songs"
   (2021 )

In Francia deve esserci una legge non scritta, per la quale tutti gli uomini che cantano in francese, debbano sempre sussurrare, con fare suadente. Ok, scusate, me la tenevo dentro da anni questa cosa e volevo farla notare, non si offenderanno i cugini d’oltremanica (poo popopopo poo poo...).

Eh-ehm. Se state ancora leggendo, torniamo seri. Quando si fanno i remix, di solito lo si fa di brani celebri di altri artisti, cercando di trovarne un nuovo senso. Evidentemente, Marc Sarrazy & Laurent Rochelle pensavano che le loro stesse musiche precedenti avessero ancora linfa potenziale per rinnovarsi. Ed avevano ragione.

Se conoscevate già Sarrazy, avrete sentito i suoi brani per pianoforte, e il suo lavoro con Laurent Rochelle al sax. Ecco, se avete presente quella dimensione acustica, tra il jazz e la musica d’autore, qui potreste disorientarvi. Perché per l’album “Cyclotimic songs” (uscito per Les Disques Linoleum), il duo ha estratto dei loop brevissimi dal loro repertorio già inciso, che diventano la base per brani a indirizzo, come dire, chillout. Una chillout sui generis, non proprio canonica, perché si verifica uno strano miscuglio di due atmosfere: un relax avvolgente, da doccia calda fatta ascoltando Enigma (per capirci), e spunti di pura paura, inquietudine, tensione.

Questa unione idiosincratica rende curioso ed avvincente l’ascolto. Non a caso, il duo ha definito questo esperimento un Frankenstein musicale. La scelta delle parti più sospese di pianoforte, per creare i loop, è di ispirazione cinefila. Come nella cupa “Fantômatic”, che richiama Fantômas, o come “Calcutta western”, un delirante ostinato su pianoforte, che incontra numerosi estratti di film di Bollywood. In “L’heure de s’enivrer”, Marc recita “I fiori del male” di Baudelaire, ovviamente sottovoce come scrivevo all’inizio. Anche Laurent bisbiglia, in “Comme une vague”, mentre la musica crea un attesa febbrile.

Per “Talking to Malkovich”, compare il rapper Mike Ladd, che racconta il suo universo allucinato. In “Blue funeral”, Rochelle pronuncia una poesia scritta da Sarrazy. Il loop di piano scelto cita inequivocabilmente la più celebre marcia funebre (l’incipit della sonata n.2 op. 35 di Chopin), sebbene nella traccia di partenza “Funeral blues”, fosse presente solo per un attimo, mentre qui diventa asse centrale del brano.

L’apice forse si raggiunge con “Buffalo VI”. La voce parlante è compressa dall’effetto radio; il pianoforte è preparato con oggetti vibranti sulle corde, come conchiglie; il suono è condito da disturbi di segnale; ansia costante fino all’apoteosi del sassofono che piange.

Ossessività pianistica anche in “Moving circles”, dove i fiati creano armonizzazioni energiche. Qui canta Manel Cheniti, valorizzando un clima smooth jazz, sempre con la batteria elettronica lounge, da saluto al sole in spiaggia. “Sad hill rendez-vous”, tra le più sospese dell’album, contiene frammenti di tromba jazz decontestualizzata, con bassi avvolgenti.

Per concludere, Marc e Laurent ci portano in una “Lobotomy nostalghia”. Tra archi tremolanti, voci liriche, campionamenti orchestrali (tra i quali un meme riconoscibilissimo), im-previsti programmati, sirene di polizia, tutto questo non disturba minimamente la ritmica andante, e i due accordi di pianoforte scelti come loop, che per una volta non sono diminuiti o dissonanti, ma tenui e sognanti.

“Cyclotimic songs” è un album che lascia confusi e divertiti. Si avverte l’approccio ludico adottato dai musicisti, per creare questo pastiche sonoro; bisognerebbe coniare un aggettivo che unisca rilassante e inquietante. Inquiessante? Ma l’italiano medio che c’è in me, continuerà a domandarsi perché sussurrino così tanto! (Gilberto Ongaro)