UNAPALMA  "Eternit"
   (2022 )

Se questo disco fosse una persona, avrei voglia di abbracciarla con lo stesso trasporto che si riserva ad un amico caro, o a qualcuno che non vedevi da tempo, o a chi credevi perso e invece è lì davanti a te.

Perché è un disco morbido, intimo, discreto. Quasi naïf.

Lo realizza Unapalma, al secolo Giacomo Scudellari, trentacinquenne avvocato ravennate in giro da una decina d’anni tra encomiabili lavori solisti e collaborazioni illustri (Gang su tutti, ma anche Massimo Bubola e Francesco Giampaoli dei Sacri Cuori).

“Eternit” – pubblicato per Brutture Moderne con la produzione dello stesso Giampaoli - è un album raccolto e gentile, mediamente triste, ma di una tristezza non invadente, che ti permette di raggomitolarti nel tuo angolino se soltanto lo desideri. Intanto, ti accarezza la testa e ti rassicura, anche se non va tutto bene, affatto.

Esaltato proprio dalla musicalità scarna e basica che funge da sostegno, il mood è così sottilmente depresso che invoglia ad un sereno abbandono, mentre il canto - docile e mansueto - è appena appoggiato su un tappeto di piccole, carezzevoli melodie punteggiate da elettronica misurata e brio contenuto.

Nove brani esili-ma-non-troppo nobilitati da una scrittura accattivante, da ganci talora irresistibili, da ritornelli che funzionano comparendo quando neppure te li aspetti: “Eternit” bada all’essenziale, nei suoni come nella costruzione dei pezzi che gli danno vita, tutti con titoli formati da una sola parola, sempre a proposito di essenzialità. Impiega molti strumenti, ma predilige arrangiamenti asciutti e puntuali, affidandosi ad un crooning confidenziale quanto basta per avvicinarsi a chi ascolta senza invaderne lo spazio.

Eppure è così profondamente contemporaneo, calato com’è nel solco di quel cantautorato nostrano 2.0 da Niccolò Contessa a scendere, passando per Coez, Calcutta, Gazzelle e compagnia cantante, ma molto meno compiaciuto e compiacente. “Clorofilla” – piazzata lì in apertura con tutta la più innocente nonchalance di questo mondo - sembra una outtake di “Aurora”, col suo arrancare mellifluo condito da parole perfette per calzare come un guanto a tutto o a niente. Il che, in sostanza, è tra le belle cose dell’indie o sedicente tale, in ogni sua declinazione.

Il taglio minimalista che ovunque impera giova a queste composizioni garbate in punta di voce, incorniciate da tinte pastello, da toni pacati, da assenza di clamore e fragore. E’ una grazia gentile quella che avvolge la samba di “Ecomostro” e il piglio da chanson francaise della title-track, l’arpeggio insistito di “Cortisone” e la dolcezza di “Sumo” col suo chorus memorabile, il beat scheletrico di “Scontrini” e la ballata stralunata di “Anice” in chiusura, forse l’acme di questa musica mesta ed introversa. Desolata sì, ma in modo inusuale.

Non mi sostituire mai/come fai con le pastiglie della lavastoviglie/non mi sostituire mai/come un dente del giudizio in un giorno del giudizio/non mi sostituire mai/perché sono il calcare e tu sei un tubo da abbracciare.

Semplice, come un abbraccio. (Manuel Maverna)