LOW  "Hey what"
   (2022 )

Avete già trovato il tormentone dell'estate '22 con cui incuffiarvi? Pescando dai classici, ho scelto "We all are prostitutes" dei Pop Group, perché sti tempi se lo meritano, e tra le novità la sbarazzina (ma non troppo perché fa anche non poco meditare) "Onde" di Margherita Vicario, astro che speriamo vinca Sanremo nonostante le parentele altolocate perché se lo meriterebbe alquanto.

Intanto se le mie proposte estreme non vi convincono e già vi scatta il pollicino verso, provate a meditare sulla premiata ditta e coppia nella vita Alan e Mimi, ossia su questo nuovo degli americani Low che non sarebbe dispiaciuto come spunto, anche per sintonie nella scelta del nome, al David Bowie di fine anni Settanta / primi Ottanta, ossia quando partorì quell'inarrivabile capolavoro che è "Ashes to ashes".

Siamo di fronte, anzi meglio dire attraversiamo, un album figlio di una band che ha prodotto il grandissimo "Double negative" (da non mancare almeno il brano "Dancing and blood") ossia uno degli album più acclamati della scorsa decade. Provare per credere su Youtube il live dal Fitzgerald Theater. E anche questo nuovo è scritto allo stesso modo, con un surplus di maggior rarefazione, ma sempre con alternanza di pianissimi e momenti densi e nervosi, ma è sempre scritto intingendo il pennino delle note nella grammatica dell'ossessione, ma sa essere anche - per arcane alchimie - non direi certo consolatorio ma conciliante questo si, una sorta di fratello maggiore che ti guarda e non ti giudica ma ti consiglia anche stando zitto e all'apparenza in disparte.

Qui poi paghi uno e ottieni due: in realtà siamo di fronte a una sorella e a un fratello che ti cullano senza mai addormentarti, ti cullano per lasciarti sveglio. Conciliano ma non il sonno. Questa è musica da veglie, che nel profondo ha il ritmo dei nostri giorni amari ma non siamo al cospetto di un minimalismo di maniera, una sorta di Cocteau Twins redivivi.

Certo anche senza saperlo ormai viviamo immersi nel film di Godfrey Reggio con musiche di Philip Glass "Koyanisqaatsi", ma questa collezione di brani a due voci maschile e femminile ed elettronica evoca anche i nostri Chrisma mai troppo lodati e che tanto ci mancano. Un disco, questo dei Low, magnetico, magmatico, perentorio nella sua immanenza possente, a tratti incessante, rovente, urticante apoteosi drammatica, nervosa senza diventare isterica, epica senza diventare retorica, ambient e industrial post senza diventare manichea o fideistica, il giusto mezzo un bel trip per flippare.

Altro che techno trap e rave che ormai dragano il fondo sociale. L'ultimo brano - ''The Price You Pay (It Must Be Wearing Off)'' - perpetua la magia della PJ Harvey di metà anni Novanta, ma apre anche altri orizzonti. I Low, ovvero dove sarebbero arrivati i Radiohead se avessero spinto "solo" sul pedale astratto della sperimentazione.

Ah, per finirla con le citazioni e i rimandi del tutto soggettivi, sentenzio che se i Dead Can Dance fossero meno algidi e ingessati si chiamrebbero Low, che sono psichedelici al punto giusto di cottura. Voto 9 meritatissimo e senza riserve per questo loro tredicesimo lavoro. Ce ne fossero di dischi e di band davvero alternative così. Chapeau e bacio in bocca platonico-accademico. Miglior brano da raggiungere per una prima delibazione: il bartender consiglia "I can wait". (Lorenzo Morandotti)