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  ''La leggerezza, la superficialità con cui si apre bocca su tutto... anche da incompetenti...''

Ciao Alessandro. E’ recente l’uscita dell’ottavo (!) concept-album “Arca”. Il fatto di concepire i tuoi lavori con questa modalità è una cosa che ti prefiggi sempre oppure ti viene naturale? ''Ciao, ultimamente sempre di più. E’ uno stimolo per avere nuovi argomenti da sondare nella forma canzone. Impone una disciplina ferrea e un’idea sempre molto accattivante dietro, per poterci lavorare continuamente nei 2 anni di gestazione che normalmente mi servono. Una volta abbracciata la via filosofica delle materie scientifiche o geostoriche, poi, ci si trova immersi in una galassia alternativa al mondo della musica, al mondo dei club e dei festival indie, che francamente non me li fa rimpiangere, alla mia età. Far evolvere il progetto via via in qualcosa di più artistico in ambito culturale è sempre stato il mio sogno e mi sembra un buon modo di invecchiare''.

Spesso vieni definito artista eclettico, visionario, filo-profetico. Ti riconosci in queste definizioni? Qual è quella che rispecchia maggiormente la tua indole creativa? ''Sull’eclettico e visionario mi sembra evidente dalle tematiche e dalle discipline che affronto via via, mentre sul profetico, è una cosa che potrei associare all’ultimo album “Entanglement”, uscito in piena pandemia e concepito anni prima per parlare della causa effetti immediata degli eventi in tutto il sistema mondo. In quel caso sicuramente profetico, con la pandemia dilagata dalla Cina ovunque in pochi mesi. Per l’album “Arca” mi auguro vivamente di no, visto che di Apocalisse si parla (ma temo di sì)''.

“Gravità” è definizione a doppio senso: oltre a quello di farci prendere coscienza dell’allarmante situazione di oggi, vuole anche testimoniare come la “pesantezza” dell’aria di quest’epoca appesantisca maggiormente i nostri passi esistenziali? ''Sì, certo, è il senso ultimo della canzone. All’opposto della pesantezza direi la “leggerezza”, la superficialità con cui si apre bocca su tutto anche da incompetenti, l’arroganza e la faciloneria con cui si appellano o attaccano persone, cose, la leggerezza dei giudizi, l’incoscienza collettiva di un branco di topi che corrono verso un burrone. Il non rendersi conto della gravità di parole, azioni, su ambiente, poveri, migranti, donne, categorie discriminate, avversari politici, ambiente. La deriva che preannuncia la catastrofe''.

La teoria che, in futuro, l’umanità dovrà emigrare su altri pianeti è tanto suggestiva quanto mai possibilista se, effettivamente, il degrado generale non si arresterà. Nella tua immaginifica “Arca”, quanto credi che l’umanità potrà ritrovare i valori smarriti come socialità, rispetto e condivisione? ''Non li troverà mai purtroppo, ma è un esercizio utile, Arca, per porsi quantomeno il problema del limite della nostra stupidaggine e del nostro ego. Cosa vuol dire essere tutti migranti in un unico grande barcone senza più una casa? Cosa scegliere da portare con sé, da salvare del pianeta? Quali priorità, visto che tutto non si potrà ricreare? Come concepire un’unica nazione-errante senza conflitti interni, che in un habitat artificiale sarebbero letali e impossibili per tutti? Credo che Arca sia un bell’esercizio mentale di umiltà e di pubblica utilità. ovviamente l’apocalisse ambientale è molto probabile, ma la tecnologia per sfuggire da qui è anni luce lontana. In questo senso è solo una fiaba pedagogica senza speranza di vederla realizzata. Troppo tempo ci vorrebbe, il nostro mondo non può aspettare in queste condizioni ancora a lungo prima di farci fuori. In una frase del brano “Arca” dico: ''Migliorammo non per pentimento, ma necessità, di una convivenza in cattività''.

Tra dischi e videoclip, immetti spesso elementi di scienza, natura, arti visive e fantasie eteree e sospensive. Quanto ti impegna il processo produttivo in questione? ''Tantissimo, e mi appassiona: passo un anno a documentarmi su un’idea e mi impongo di non buttare giù nulla a livello musicale. Creo solo ideuzze fluttuanti, ipotesi galleggianti sempre lì davanti. Poi, una volta ferrato in materia, avendo acquisito una conoscenza profonda e un vocabolario più ricco (leggendo varie cose ho il tempo di trovare metafore, assonanze, ragionamenti da trasporre all’uomo, alla società, che è quello che mi interessa alla fine), solo allora inizio a scrivere e le cose escono con maggiore coerenza da brano a brano e maggior cognizione di causa''.

Una decina d’anni fa, prendeva forma il tuo progetto tra musica e arte denominato “Chimera”, che hai (oltremodo) rappresentato con una esposizione di creature mostruose tra Venezia e Treviso. Ce ne parli? E’ un progetto che ha avuto ulteriori sviluppi ed evoluzioni? ''Sì, è iniziato tra Venezia e Treviso e andato poi a Berlino, Marsiglia e Pechino, per chiudersi a Torino, dedicato alle utopie fallite del XX° Secolo. Costruivo installazioni dalle fattezze di mostri ibridi (chimere, appunto) rappresentanti di volta in volta assurde utopie di cui sbarazzarsi come la crescita economica perpetua, l’eterna giovinezza, la stabilità, l’energia atomica. Cose giganti che poi venivano disallestite e a volte distrutte, come si fa con i feticci o le streghe o le paure da esorcizzare. L’album parlava di questo e metteva in campo una galleria di personaggi utopisti della storia''.

“Arca” offre un’oretta d’ascolto tra Ambient, New-wave, elettronica e alternative. Dal tuo primo concept (“Le notti di Oz”) ad oggi son passati quasi 15 anni. Quali ritieni siano stati gli “step” più evolutivi per la tua musica? Come rappresenterai “Arca” sul palco? Ci puoi svelare qualche particolare? ''Mi piace sentirti così informato. 15 anni? Mamma mia, come vola il tempo... Gli step evolutivi? Beh, l’album “Nero” del 2006 è stato il secondo album, ma il primo con me alla voce solista e di fatto il primo album tutto mio in studio, portato anche alla ribalta nazionale. Poi ''Le Notti di Oz'', il primo concept, che mi ha fatto capire la propensione teatrale, interdisciplinare e ambiziosa del mio progetto anche on stage, se pur troppo acerba forse all’epoca. Sicuramente “Micromega” ha dato la svolta più grossa introducendomi alla scienza e materie che adoravo da bambino e che mi hanno cresciuto così visionario. L’idea di analizzare l’ambiente e l’uomo tramite la scienza mi ha folgorato e ha funzionato tantissimo anche sul pubblico. “Entanglement” mi ha fatto fare un salto quantico nella credibilità all’interno del mondo delle arti visive, mia primaria vocazione, trascinando anche Ottodix in contesti museali internazionali come le due Biennali di Venezia consecutive. Ora “Arca” è il primo album che parte già con un tour e progetti prestigiosi con enti e fondazioni già stipulati “sulla fiducia”. Insomma, devo dire che di step ce ne sono stati molti e sempre in crescendo. Lo spettacolo di Arca ha inaugurato la mia residenza diffusa “Arca Venice” 2023 nelle fondazioni e musei lagunari, debuttando al CNR di Venezia da pochissimo, in una serata bellissima in laguna all’aperto, con band, quartetto d’archi e le ombre di Laura Marini per “Ombrette", che lavora con noi da due anni. Ci sono canzoni, interludi strumentali ambient con letture scientifiche e informazioni sulla frontiera della conquista dello spazio, sul rischio estinzione, sull’importanza di fare backup degli habitat (a cominciare da Venezia) e per finire traduzioni in suono di sequenze di DNA di animali, piante, funghi e batteri da salvare idealmente nell’Arca spaziale per ripopolare futuri esopianeti. Visuals e quartetto d’archi. Ci sarà anche una cover di Henry Mancini. Insomma, succede di tutto. Nel frattempo lo porteremo anche al Bethanien Kunstquarter di Berlino dove i miei progetti di arte visiva legati al precedente Entanglement continuano la loro corsa. E’ un bel periodo, non posso lamentarmi''. (Max Casali)