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news - rassegna stampa

05/01/2014   I MIGLIORI DISCHI DEL 2013!
  Quali sono stati gli album che hanno segnato l'anno appena terminato? Ecco la Top 20 annuale secondo il nostro collaboratore Manuel Maverna

1) THE BLACK ANGELS – “Indigo meadow”
Psichedelia texana acida e malsana, un ruvido impasto di suoni gracchianti e cadenze metronomiche che imbastardiscono i Led Zeppelin coi Doors, garage e stoner-rock amalgamati in una sassata tanto retrò quanto sinistra, perversa ed inquietante. Lascivo e strabordante, saturo e infernale, ossessivo e opprimente come una sepoltura prematura.




2) THESE NEW PURITANS – “Field of reeds”
La frontiera di un nuovo mondo nella musica contemporanea assume forme infide e cerebrali: elementi jazz, classici e cameristici sposano echi ambient ed elettronica contorta in un lavoro tanto affascinante quanto a tratti ostico ed inaccessibile. Un tesoro da scoprire poco alla volta.






3) I CANI – “Glamour”
Giù il cappello, gente: il signor Niccolò Contessa da Roma è verosimilmente condannato ad essere amato o detestato, ma ha parole di vita moderna che nessuno usa ed osa alla sua stessa, scanzonata maniera. Raggelante panoramica del nulla, apocalisse narrata in ritornelli radiofonici solo falsamente accomodanti. Venghino, signore e signori: that’s life.


4) SPEEDY ORTIZ – “Major arcana”
Nulla di nuovo sotto il sole, o forse sì: magari soltanto l’ennesimo tentativo di coniugare il verbo indie dei ’90 con il linguaggio mutevole e ondivago dell’ultim’ora: intanto ben vengano questi 35 minuti di noise spigoloso e obliquo all’americana, fendenti assassini in salsa Pixies, dissonanze a strati, ritmi impazziti.




5) POLVO – “Siberia”
Poco importa lo scorrere impietoso del tempo: il mondo deviato dei Polvo da Chapel Hill, North Carolina, è lì a ricordare che la maestria non invecchia e che si può ancora trovare un modo intelligente di rivitalizzare il vecchio concetto di post-rock sublimandolo in otto oscuri, dilatati movimenti di classe pura.




6) GIRLS IN HAWAII – “Everest”
Etereo, intimista, scarnificato indie-pop dal Belgio, una leggera patina shoegaze sui generis a punteggiare melodie esili e trasognate trafitte qua e là da un mood depresso e desolato. Toccante e sospeso, aggrappato ad aperture inattese, a un pianoforte lontano, ad una dolce melanconia d’antan.




7) ICEAGE – “You’re nothing”
Solo 28 minuti di delirio distorto, più che sufficienti a questi quattro ragazzotti danesi, lads e enfant-prodige, scellerati e irriverenti, per ridare vita e nuova linfa ai tanti e tali fantasmi del punk che fu. Baraonda di distorsioni senza requie, più Libertines che Sex Pistols, più 2013 che 1977, ma gran sberla.





8) DAUGHTER – “If you leave”
Dream-pop aggiornato, pennellato dalla voce celestiale ed insinuante di Elena Tonra, musa suadente, anima e cuore di questo toccante act londinese capace di dispensare emozioni con garbo velato e sottile intimismo.





9) MOGWAI – “Les revenants”
A volte ritornano, lievi come spettri, incombenti ed eterei, musica nata per immagini che pulsa di vita propria, avvolta in spire soffocanti, tetra e sfocata tra esplosioni ed implosioni, droni e deflagrazioni, insidiose trappole e poche luci a rischiarare la colonna sonora di un aldilà mai così prossimo.





10) ALESSANDRO FIORI – “Cascata”
Crooner sbilenco tra nonsense e neorealismo, cantore pungente ed autore intrigante che rese grandi i Mariposa, il Fiori cronista svolge con grottesca sagacia un’indagine sull’io tra visionarietà e canzone d’autore, edificando un microcosmo stralunato, allucinato caravanserraglio di ombre e varia umanità.



11) VAMPIRE WEEKEND – “Modern vampires of the city”
Sapido frullato di idee antitetiche, accostate con la sfacciataggine che solo i grandi possono permettersi, sorta di retro-pop che cita Paul Simon e i Beatles, pescando indifferentemente dal folk e dal music hall. Presuntuosamente polivalenti, forse grandi, probabilmente unici nel loro modo naif di interpretare un easy listening di nuovo conio.



12) MIKAL CRONIN – “MCII”
Ovvero: come affrancarsi da Ty Segall sciacquando i panni in folk. Leggasi: cantautorato elettrico e gentile a ridosso di Gram Parsons, meno country e più gradevolmente pop. Ispirata raccolta inattesa di gemme in minore corroborate da un chitarrismo misurato e toccante. E finalmente non invasivo.





13) THEE OH SEES – “Floating coffin”
Garage rock slabbrato da San Francisco riletto con massicce iniezioni di psichedelia, punk stravolto, devianze assortite e piglio tipicamente indie. Dissonanze deraglianti e carezze improvvise, come si conviene all’alt-rock più in voga nei 90’s, ma rivisitate con foga prettamente contemporanea e straboccante acidità.




14) DAFT PUNK – “Random access memories”
Il nuovo millennio parla la loro lingua, meglio adeguarsi. Al fin della licenza la Premiata Ditta tocca e marchia a fuoco l’elettronica che verrà piegandola alla disco-music del tempo che fu. Si torna al punto di partenza, come se nulla fosse accaduto: cambiano i suoni, quelli sì, ma the song remains the same.





15) FOREST SWORDS – “Engravings”
Bando alla giovialità, mr. Barnes da Liverpool sa scrivere musica; ne partorisce di obliqua, sensuale, fosca ed opprimente, una versione disumanizzata di David Tibet alle prese con nevrosi differenti nella atavica, ineludibile attesa della Nera Signora. Elettronica opprimente ed elegiaca, a suo modo: soundtrack ideale di un judgement day incombente.



16) BAUSTELLE – “Fantasma”
Eleganti e dotti, Bianconi & soci, cervelli in balìa della propria sbandierata grandeur, teste pensanti che hanno rischiato il tutto per tutto azzeccando una pomposa rock-opera con la presuntuosa scioltezza dei veterani. Facendo sembrare il tutto semplice e naturale, mascherando l’arroganza malcelata della superiorità con la superiorità vera e propria.



17) SCOUT NIBLETT – “It’s up to Emma”
Sfrontata come non mai, in punta di scimitarra – altro che fioretto – la tenera ex-ragazza di Nottingham pennella un piccolo capolavoro di claustrofobica introversione, rabbioso e caustico come mai in passato. Rasoiate che stillano dolore, intima sofferenza messa in piazza per gli astanti, un’artista che vuota il sacco al pubblico ludibrio.





18) SPIRITUAL FRONT – “Open wound”
Non sembra Italia, ma lo è. Dark cabaret da Roma, armonie da Gran Teatro Amaro, mitteleuropa su una ribalta scricchiolante, per un pubblico che attende l’ingresso in scena del demonio mascherato. Sospeso ed incombente, manifesto di tetraggine capace di atterrire affascinando come un incantatore di serpenti.





19) DEERHUNTER – “Monomania”
Come trasformare il primitivismo garage di Jon Spencer in art-rock, piegando la rozzezza primigenia a trame contorte ed impreviste svolte moderniste. Il sentiero è già battuto, ma la prospettiva è differente, una pièce all’ennesima replica rivitalizzata da una nuova compagnia teatrale. Falsamente ruvidi, attori consumati che giocano ai guitti, con stile.



20) FINE BEFORE YOU CAME – “Come fare a non tornare”
Cinque tracce per un ep che scava solchi profondi come una vita, poco più di venti minuti di inarrivabile intensità, lamento e grido all’infinita vanità del tutto, compendio minimalista in veste emocore sulla precarietà dei sentimenti, sulla vacuità futura, sulle passate, insanabili, incancellabili sconfitte patite.

(Manuel Maverna)