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16/02/2015   SANREMO 2015 - IL NOSTRO COMMENTO (SEMISERIO)
  Il Festival secondo 'Sua Acidità' Enrico Faggiano

Alex Britti – Un attimo importante – Sempre quella sua aria di quello che è figo, è bravo, che potrebbe schitarrare da vero artista e che invece si concede alle masse perché è altruista. Non hai mai trovato una sua strada, quando all’inizio sapeva, volenti o nolenti, unire le piacionerie all’allegria. Ma poi, vanno tutti a Sanremo a mettere in luce il loro lato buono, e non capiscono che così scadono nel banale, banalissimo.

Anna Tatangelo – Libera – Un po’ di silicone, il bancomat del suo mecenate, un po’ di gossip, ed ecco come si riesca a creare una carriera dal nulla. A parte le bocce e i titoli su Novella 2000, qui c’è mai stato materiale per capire cosa aspettarsi, da un personaggio che non ha una propria personalità e nemmeno un suo stile, se non ammiccare alla telecamera e puntare ai divani di Barbara D’Urso?

Annalisa – Una finestra tra le stelle – Eccole qua, queste figlie dei reality che sbucano fuori biennalmente e, sarà la vecchiaia, ma proprio si fatica a distinguere l’una dall’altra. Testi carini e romantici, blanderie da diario adolescenziale, ugole a palla, ma se lei e Chiara, o Noemi, o Maria, o Pina, si scambiassero le canzoni, nessuno se ne accorgerebbe. O no?

Bianca Atzei – Il solo al mondo – Altra creatura dei Modà, che con i testi iperbolici ma ripetitivi di tal Kekko hanno appiattito il Festival in modo imbarazzante, facendo rimpiangere i Franco Fasano e i Marco Armani dell’epoca. Priva di qualsiasi capacità personale, a parte una discreta dote di pelle messa in mostra. Ma questa, anni fa, avrebbe dovuto fare le prequalifiche, l’Intertoto, anche solo per entrare tra le nuove proposte. Quindi, perché è qua, quando youporn risponde già a determinate esigenze?

Biggio e Mandelli – Vita d’inferno – Viste le premesse poteva davvero andare peggio, ma non si capisce il senso di questa operazione, a metà tra Cochi e Renato ed Elio, senza alcuna velleità musicale. Perché questo, che è solo ed esclusivamente uno sketch comico, è finito in gara e, per esempio, il rap dei defunti di Luca e Paolo no? Cosa distingue una canzone da una gag?

Chiara – Straordinario - Eccole qua, queste figlie dei reality che sbucano fuori biennalmente e, sarà la vecchiaia, ma proprio si fatica a distinguere l’una dall’altra. Testi carini e romantici, blanderie da diario adolescenziale, ugole a palla, ma se lei e Annalisa, o Noemi, o Maria, o Pina, si scambiassero le canzoni, nessuno se ne accorgerebbe. O no?

Dear Jack – Il mondo esplode tranne noi – I Modà parevano i cloni loffi dei Negramaro. Questi sono i cloni loffi dei Modà. Prima o poi si terminerà di scavare, in questa gara a rifare cose da altri rifatti. Ok, nessuno vuole scambiare Sanremo per i laboratori dei Beatles o dei Kraftwerk, ma i “ragazzi di oggi” non hanno altro da dire?

Gianluca Grignani – Sogni infranti – La verità è che lui si sarebbe dovuto schiantare in macchina dopo “La fabbrica di plastica”, prima di diventare un piacione a metà tra l’essere il classico figliodibuonadonnaspostatomacongliocchidolcidolci e la più clamorosa delle occasioni mancate. Poca voce, l’impressione di recitare una parte, per il peggiore, forse, dei reduci dei ’90 ripescati da Carlo Conti.

Grazia di Michele e Platinette – Io sono una finestra – Il problema nasce nella fin troppa teatralità di un progetto a tavolino, che vuole dire un sacco di cose e che poi è a Sanremo. E che, quindi, deve dirle in modo nazionalpopolare, comprensibili a tutti e retoriche. Per far capire, il Tenente di Faletti ti piantava davanti alla televisione, qui hai l’impressione di sapere già quello che stanno per dirti. In soldoni, non se ne sentiva il bisogno, e alla comunita gay è molto più utile la declinazione al maschile di “Senza scappare mai più” di Tiziano Ferro che non questa roba.

Il Volo – Grande amore – Di quegli ibridi che piacciono tanto in America, dove peraltro mangiano i tortellini in scatola quindi non è che la cosa faccia curriculum. La canzone italosanremese per eccellenza, quasi uscita dagli anfratti baudeschi dei Safina e Mazzocchetti. Però questi sono sponsorizzati, pompati, ma sembrano più roba da Eurofestival che non da musica pop normale. E alla fine vincono, perché a Sanremo le cose teatrali piacciono tanto (oh, ha vinto anche Giò di Tonno!), e perché un po’ di voce fa sempre scena. Claudio Villa, da lassù, pensa “ero più moderno io”.

Irene Grandi – Un vento senza nome – Canzone che andrà risentita senza il peso dell’orchestra che la rallenta ancora più di quanto non sia in origine, come una specie di marcia funebre che non ha direzione chiara e tranquilla. Fin troppo intensa per l’ascolto superficiale sanremese, quasi a voler inseguire antiche eroine della materia (Mia Martini?) a cui, forse, la cosa riusciva meglio.

Lara Fabian – Voce – Non è che a Sanremo gli “stranieri” in gara siano mai stati merce di gran qualità. Questa sbuca fuori con buone referenze da Francia e Belgio, una collaborazione con Gigi D’Alessio, e una canzone che è la summa di tutte le retoriche sulle canzoni di Sanremo: tante velleità vocali, testi banalmente poetici e niente che ne giustifichi la presenza. Per intenderci, poteva essere sostituita da una Fiordaliso qualsiasi.

Lorenzo Fragola – Siamo uguali – Dato che tutti i prodotti dei talent sono femmine o quasi, e gli uomini sono già spariti (Scanu? Carta? Carone?), sembra quasi un alieno. Ok, poi lo si sente, e capiamo che ci siamo sbagliati. Almeno ci mette un po’ di ritmica, la canzone non è di quelle che alla radio cambi subito. Ma c’è un tasso di biodegradabilità che non è poco, anzi.

Malika Ayane – Adesso è qui – Vanoneggia un po’ meno del solito, nella sua classica canzone sanremese per eccellenza: braccia allungate verso la platea, occhi chiusi, e postura che sarebbe sembrata ancestrale perfino a Nilla Pizzi. Alla fine ti diventa anche familiare, e un po’ meglio delle altre che sono senza cognome e, forse, senza personalità. Basta per rompere il muro della normalità?

Marco Masini – Che giorno è – Attenzione, Masini è diventato normale, e se non ci fosse dietro quell’atroce ricordo di tossici, fanculi e stronze magari lo si potrebbe giudicare anche in altro modo. Questa non è un capolavoro, ma è soprattutto una canzone onesta, che inizia e finisce senza cercare altro che occupare 4’ senza altre velleità. Roba non scontata da Masini, che quindi avendoci abituati ad oscenità ora fa bella figura con poco. Banalmente elegante, elegantemente banale, ma un suo posto nel mondo ce l’ha.

Moreno – Oggi ti parlo così – Curiosi, questi rappers che prima fanno gli alternativi, poi vanno a Sanremo a dire che in fin dei conti sono dei romanticoni, che la loro mamma è tanto felice, e che sono a loro agio come calciatori ad un esame di ingegneria meccanica. Dai, le radio ti faranno felice, saranno tutti contenti, tu torna pure a fare il figo altrove. Tanto va bene tutto, o no?

Nek – Fatti avanti amore – Oddio, cosa salta fuori da qua? La riscoperta di un soggetto che, al di là delle ancestrali mani cucciole, una sua via l’aveva trovata, senza infamia e senza lode, ma con discreta radiofonicità e qualità. Poteva arrivare con la solita brodaglia sanremese, capisce che per mettersi in luce si devono alzare i bpm, missione compiuta. Merita di essere riascoltato, specie ora che, ormai, in giro ci sono solo giovani zombi televisivi.

Nesli – Buona fortuna amore – Poco avvezzi alle battaglie tra gang rap come avviene negli Usa, è normale chiedersi chi cavolo sia, prima che vengano a spiegare che si tratta del fratello di quell’altro, che si odiano, ma che lui ora fa il confidenziale. Un bel “mah” sulla fiducia, ben consci del fatto che tanto sono prodotti talmente raffazzonati che verranno dimenticati già tra una settimana.

Nina Zilli – Sola – Meglio di tutte quelle altre senza cognome che ammorbano il Festival con canzoni e progetti assolutamente indistinguibili l’uno dall’altro, ma si continua a dar l’impressione di volere a tutti i costi cercare l’altrui imitazione piuttosto che un proprio stile. Per essere chiari: le Oxe, le Bertè, le Mannoie eccetera, erano loro stesse, e non dei copia e incolla di altri. Ciuffa anche il titolo a Viola Valentino, per intenderci… Un po’ Amy Winehouse, un po’ Nina Simone, un po’ Mina. Ma Nina Zilli, sempre e comunque trombabile, chi è in realtà?

Raf – Come una favola – Riapparizione dopo un ventennio che avrebbe meritato maggiori fortune, al di là dei guai di bronchite che lo hanno cassato. Canzone di Raf se ce n’è una, anche se lui, all’epoca, sapeva uscire dalla massa con le sue ritmiche non del tutto scontate, nel panorama italico del tempo. Per intenderci, ci si ricorda più di “Ti pretendo” che di “Inevitabile follia”, e allora perché tornare con qualcosa a rischio di confusione con altre nenie? Forse chiede di essere eliminato per evitare ulteriori tachipirine, ma non meritava, altroche.

Giovani – Ormai categoria priva di talenti, dove ci deve essere sempre il finto rocchettaro incazzato, la sciantosa, il conservatore, il gruppo fuori posto, come a riempire caselle già definite. Vince un figlio artistico di Battiato e Caterina Caselli: vedremo.