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10/03/2018   BOB DYLAN
  1988-2017. Dell’iceberg la punta: 30 anni di ''Never Ending Tour'' in 30 performance memorabili, di Samuele Conficoni - 5° puntata

Puntata 5 di 5

Premessa
Durante il suo Never Ending Tour, abbreviato anche con la sigla “NET”, iniziato il 7 giugno 1988 in California e tuttora in corso, Bob Dylan ha tenuto, a oggi, 2903 concerti. L’ultima data del 2017 è stata a New York il 25 novembre; la prima del 2018 sarà a Lisbona il 22 marzo. Dal 1988 a oggi, Dylan non si è mai preso un solo anno di pausa, tenendo una media di quasi 100 show all’anno. Per celebrare il trentesimo anniversario di questa infinita installazione musicale, Samuele Conficoni ha selezionato trenta esibizioni in ordine cronologico, una per ciascuna annata, in modo tale che ogni singolo anno sia così rappresentato all’interno della lista. La pretesa non è certamente quella di essere esaurienti (e chi mai potrebbe esserlo?), né quella di indicare la miglior performance di ogni anno – anche perché è impossibile farlo, e ciascuno avrebbe le proprie preferenze –, bensì di presentare al lettore una serie di concerti rappresentativi ciascuno del tale anno, della particolare fase creativa che Dylan stava attraversando e della sua evoluzione sui palcoscenici, con un occhio particolare ai passaggi di Bob in Italia.

#25: 18 ottobre 2012 – San Francisco, California.
Dei due bellissimi concerti al Bill Graham Civic Auditorium di San Francisco (17 e 18 ottobre 2012) seleziono il secondo, per le performance sublimi di “Love Minus Zero”, “Hard Rain”, la rarissima “Chimes of Freedom” (in tempo di elezioni Bob sembra di tanto in tanto riproporre questo inno di libertà e uguaglianza, come fece anche nel 2008, ma non nel 2016), una aggressiva “High Water” e la solita bellissima e tristissima “Love Sick”. L’apertura del concerto è affidata al blues divertito di “Watching the River Flow”, mentre la chiusura vede le solite “Ballad”, “LARS”, “Watchtower” e “Blowing” in sequenza. La performance è breve ma intensa: solo 15 brani ma eseguiti benissimo e interpretati magistralmente da Bob e band. Il pubblico risponde con entusiasmo ed energia, e Bob sembra davvero revitalizzato: la voce, sempre più roca e bassa, assume però caratteristiche e sfumature sempre più particolareggiate, i brani vengono quasi recitati e gli arrangiamenti sono sempre rinnovati e curati per ribadire il legame tra queste canzoni e la grandissima tradizione musicale statunitense e, in parte, europea. Da quest’anno, inoltre, Bob abbandona l’organo e si siede al pianoforte, e questo dà una veste ulteriormente nuova e originale ai brani. Sono tanti i concerti del 2012 che vale la pena di ascoltare, ma quelli di San Francisco risultano particolarmente affascinanti.

#26: 6&7 novembre 2013 – Roma, Italia.
Anche in questo caso, come già avvenuto in altre annate, accorpo due concerti perché simili tra loro e tenutisi nella stessa città e nello stesso club in due giorni contigui. La scaletta fissa – di grande ampiezza e qualità – che Bob ha ideato a metà 2013 subisce una totale e inaspettata modifica nelle due serate romane: all’Atlantico, infatti, Bob esegue due concerti pieni di rarità e sorprese, lasciando a bocca aperta il pubblico italiano della Capitale. (Io non potei andare, e quanto mi sono mangiato le mani!). Il 6 novembre spiccano in particolare “Watching the River Flow”, la sublime “Blind Willie McTell”, la portentosa “Queen Jane”, brano di Highway 61 Revisited (1965), 76° esecuzione dal vivo di un pezzo molto raro e pregiato del repertorio dylaniano, “Just Like Tom Thumb’s Blues”, sempre da Highway 61, “Ain’t Talking” da Modern Times, e soprattutto l’accoppiata da brividi “Most Likely You Go Your Way and I’ll Go Mine” (1966), arrabbiata e cinica, e “Boots of Spanish Leather” (1964), dolorosa e splendida. Ma non finisce qui: sempre il 6 viene eseguita un’altra rarità, “Every Grain of Sand”, come al solito perfetta, uno dei brani più filosofici e poetici di tutto il repertorio di Bob. Chiudono “LARS” e “Watchtower”. La sera dopo Bob regala altre rarità assolute: “Man in the Long Black Coat”, tratta da Oh Mercy, il classicone “Positively 4th Street” (1965), sempre meravigliosa, anarchica e polemica, la sognante “When the Deal Goes Down” (2006), che segue un altro brano tratto da Modern Times, vale a dire “Rolling and Tumbling”. Vengono eseguiti alcuni pezzi identici alla sera precedente, come “Make You Feel My Love”, “Highway 61”, “Tom Thumb” e “Ain’t Talking”. Nella prima parte del concerto spicca anche “It Ain’t Me”. Come la sera precedente, c’è una intermission di venti minuti dopo “Highway 61”. Nella seconda parte del concerto del 7 spiccano altre sorprese: una “Girl from the North Country” da brividi, “Under the Red Sky” (rarissima), e “I Don’t Believe You”, eseguita di rado in anni recenti. Bob cambia anche l’encore: a “LARS” e “Watchtower” sostituisce gli altri due classici con cui oggi di solito chiude i concerti, ossia “Ballad of a Thin Man” e “Blowing”. Le due serate romane del 2013 rappresentano i concerti con maggior numero di variazioni e rarità in scaletta dal 2013 a oggi, due performance assolutamente inspiegabili se si confrontano le altre date dello stesso tour, tutte con una scaletta fissa e pochi brani, comunque “bloccati”, che venivano alternati tra loro. Da ascoltare e riascoltare in loop per settimane, mesi, anni.

#27: 27 agosto 2014 – Fortitude Valley, Australia.
Un concerto in una venue estremamente piccola e intima concede alcune variazioni in scaletta rispetto al set fisso e una interpretazione vocale di Bob particolarmente convincente e sentita. Ci troviamo nella periferia di Brisbane, in Australia, al Tivoli, locale piuttosto conosciuto. Se nella prima parte, prima della pausa, Bob si attiene al set fisso, con esecuzioni splendide di alcuni brani (su tutti “Workingman’s Blues” con testo per lunghi tratti riscritto sulla falsariga dell’Odissea, “Waitin’ for You”, da rarità assoluta a brano fisso nel set, “Pay in Blood” e “Love Sick”), nella seconda parte Bob – sempre seduto al suo pianoforte a coda – scombina le carte ed esegue una “Girl from the North Country” da paura, una “Cry a While” divenuta a tutti gli effetti un brano jazz d’altri tempi, “Tweedle Dee & Tweedle Dum” trasformata in un pezzo melodico e dolce, una “Lonesome Day Blues” graffiante e sporca e, soprattutto, una “Tryin’ to Get to Heaven” triste e sommessa, highlight della serata insieme a “Girl from the North Country” e la (solita) “Love Sick”. Chiudono in sequenza “Ballad”, “Watchtower” e “Blowing”, e il concerto risulta uno dei più sorprendenti e divertenti di tutto il NET 2014.

#28: 19 novembre 2015 – Bologna, Italia.
La scaletta fissa che Bob propone dal 2013 ammette pochissime variazioni e sono rare le serate in cui Dylan scombina totalmente il proprio repertorio live. Le due serate bolognesi – io fui presente a entrambe, nella cornice del meraviglioso Auditorium Manzoni, teatro piccolissimo (soli 1234 posti), una delle venue più intime in cui Dylan ha suonato in tempi recenti – non vedono alcuna sorpresa, come anche le due successive tappe italiane, all’altrettanto meraviglioso Arcimboldi di Milano, concerti che chiudono trionfalmente il NET 2015. La seconda delle due serate a Bologna è però più solida e compatta della prima: la magistrale apertura di “Things Have Changed” è ancora più potente della sera prima, “She Belongs to Me” mette i brividi per l’interpretazione vocale convintissima di Bob, che sta al centro del palco e regala un assolo di armonica splendido; colpisce la sinatriana “What’ll Do”, che dimostra le qualità vocali ancora molto spiccate in un Bob allora 74enne; le due gemme di Tempest “Duquesne Whistle” e “Pay in Blood” si bilanciano, con la prima dolce e sognante e la seconda aggressiva e durissima. Anche “Melancholy Mood”, a dividerle, è eseguita benissimo. A “I’m a Fool to Want You” e “Tangled Up” segue una intermission di venti minuti, altra tappa fissa del set 2013-2015, pausa poi abbandonata dal 2016 in avanti. Dopo questa pausa arriva la gemma della serata: una “High Water” semplicemente pazzesca, sempre più buia e inquietante, che sembra muoversi e prendere piede da una piantagione del Mississippi degli Anni Venti (e infatti il brano è dedicato e ispirato alla vita e alla musica di Charley Patton). “Early Roman Kings” è uno di quei brani blues vecchio stile dove Bob – sempre rigorosamente al pianoforte a coda – e band si divertono da matti; le sinatriane “Why Try to Change Me Now?”, “The Night We Call It a Day”, “All or Nothing at All” e soprattutto “Autumn Leaves” risplendono e dimostrano quanto questa nuova fase crooner di Dylan sia convincente e importante. “Spirit on the Water”, brano del 2006, è sempre ben eseguita ed è, a quanto pare, una delle fissazioni di Bob, dal momento che è stata eseguita dal vivo – dati aggiornati al 2017 – ben 542 volte. A chiudere il concerto c’è un encore spettacolare formato da “Blowing” e da una “Love Sick” semplicemente spaziale. Qualche mese prima, sempre nel 2015, in estate, Bob aveva tenuto un concerto altrettanto memorabile a Lucca – anche in quel caso andai – e lì eseguì, a differenza di Bologna (e anche di Milano) una “Simple Twist of Fate” magnifica, che consiglio ai lettori di recuperare. In definitiva il 2015, pur senza sostanziali sorprese di scaletta, a cui Bob ci aveva abituato nei primi 25 anni di NET, fino al 2013, si conferma una delle migliori annate di tour della sua carriera: ogni brano è studiato alla perfezione, le variazioni sul tema sono minuscole e infinite e la band è affiatata come poche altre volte prima.

#29: 13 ottobre 2016 – Las Vegas, Nevada.
Nella tarda mattinata del 13 ottobre 2016 arriva la notizia che in tanti aspettavamo e in cui da tempo si sperava: da Stoccolma giunge l'annuncio che Bob Dylan è stato insignito del Premio Nobel per la Letteratura “per aver creato nuove espressioni poetiche all'interno della grande tradizione della canzone americana”. Come sappiamo, Dylan, sempre restio a partecipare a cerimonie pubbliche e molto poco propenso a (far) parlare di sé, avrebbe ritirato la medaglia con i suoi tempi, in una cerimonia privata insieme ai membri dell'Accademia di Svezia, a Stoccolma il 1° aprile 2017, quando il suo tour toccò la capitale svedese, e avrebbe fornito la “Nobel Lecture” qualche mese dopo, nel giugno 2017, al fine di incassare il premio in denaro. Poche ore dopo l'incredibile e sensazionale annuncio del 13 ottobre, Dylan si esibisce al Cosmopolitan di Las Vegas e, anche se non parla del Nobel, si avverte il clima delle grandi occasioni. Fuori dal teatro, infatti, sono stati installati schermi digitali su cui compare una scritta con le congratulazioni a Mr. Bob per lo strepitoso traguardo. La scaletta, da qualche anno un set fisso che ammette pochissime variazioni, non vede grosse novità, ma in compenso Bob (probabilmente non a caso vista la serata speciale che sta vivendo) decide di rispolverare la chitarra elettrica (non la suonava dal 9 novembre 2012 a Chicago, Illinois!) e concede una performance da brivido di "Simple Twist of Fate" (su YouTube è reperibile un video incompleto che rende bene l'idea di quanto sia stata epica l'esibizione). Bob è in forma smagliante: apre con “Rainy Day Women”, esegue una “Don't Think Twice” perfetta e melanconica, poi dà spazio a un altro classico degli anni Sessanta, “It's All Over Now, Baby Blue”, da applausi. “Tangled Up in Blue” è il solito esperimento in divenire dal 1974 a oggi, mentre “Lonesome Day Blues” è una cavalcata da ballare e cantare a squarciagola. Solo un brano sinatriano in scaletta, e Bob tiene per la chiusura proprio quello, una dolcissima versione di “Why Try to Change Me Now?”, non prima, però, di aver concesso al pubblico le meravigliose “Ballad” e “Blowing”. Concerto che entra di diritto nella storia meravigliosa del NET, sia per la performance solida e attenta sia per la notizia del Nobel giunta da pochissime ore.

#30: 1 aprile 2017 – Stoccolma, Svezia.
Il primo concerto del NET 2017 coincide con la visita in Svezia di Bob dopo l’assegnazione del Nobel di qualche mese prima. Finalmente Bob decide di ritirare la medaglia e lo fa attraverso una cerimonia privata qualche ora prima dello show a Stoccolma (avrebbe suonato in città anche la sera dopo). Dopo aver ritirato il premio in una stanza d’albergo, senza la presenza della stampa, e dopo aver suonato qualche brano davanti agli Accademici di Svezia (così ha riferito il membro permanente Sara Danius nel suo blog e in un’intervista qualche giorno dopo), Bob sfodera una grande prestazione di fronte agli stessi Accademici, che sono presenti in prima fila al Waterfront di Stoccolma. La scaletta è sempre quella fissa che da diversi anni, con qualche leggero cambiamento, si mantiene. Bob suona l’armonica solo in “Tangled Up in Blue” e, curiosamente, questa sarebbe rimasta l’unica performance all’armonica in tutto il NET 2017 (mai Bob aveva suonato meno volte l’armonica in un’annata di tournée). Ma una sorpresa, e grossa, in scaletta c’è: Bob esegue “Standing in the Doorway”, da Time Out of Mind, 1997, meravigliosa e disperata: è la 58° performance in totale del brano, che mancava in scaletta dal 2005 (!). Nonostante una scaletta fissa e pochissime variazioni da ormai 4 anni, ogni tanto Bob regala ancora queste perle improvvise e inaspettate – e beato chi era lì ad ascoltarla, in primis i membri dell’Accademia di Svezia… Il resto dello show è magistrale, con i soliti brani sinatriani eseguiti in maniera impeccabile e la voce di Bob sempre a metà tra un roco lamento e un falsetto disperato; tanti i classici, dalla sublime “Don’t Think Twice” alla compatta e sempre presente (e sempre un po’ tagliata, inevitabilmente) “Desolation Row”, fino alle solite “Tangled Up” e “Blowing”. Risaltano, come sempre, i brani di Tempest: “Pay in Blood” è sublime ed emana una cattiveria e un’intensità rare, mentre “Long and Wasted Year” è una meravigliosa poesia recitata con rammarico e devozione. Ora non resta che attendere il trentunesimo anno di NET, che farà tappa in Italia per addirittura 9 serate nella primavera 2018. His Bobness is coming.