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news - rassegna stampa

14/07/2022   PINK FLOYD
  Il film ''The wall'' di Alan Parker, la pellicola più iconica della storia del rock, compie 40 anni

Il 14 luglio del 1982, al Leicester Square Empire Theatre di Londra, veniva presentato il film ''Pink Floyd - The Wall'' di Alan Parker, trasposizione cinematografica dell’omonimo concept album della band, datato 1979, che quest’anno compie quarant’anni. "A dire il vero, non avrei mai dovuto fare questo film", aveva raccontato il regista nelle note stampa che accompagnarono l'uscita della pellicola. Anche se a distanza di anni ha ammesso di esserne "molto orgoglioso": in un’intervista per Classic Rock, Parker ha aggiunto che "la realizzazione del film era stato un esercizio troppo miserabile per me per ottenere il piacere di guardare indietro". Gli anni successivi hanno alleviato un po' la sua sofferenza, ma non hanno mai tinteggiato di rosa i ricordi di quell’esperienza: "Quando vado ai festival cinematografici e mostrano i miei film, includono sempre ''The Wall'' e la sala si riempie. Così mi sembra strano dire che ho odiato realizzarlo. Mi sono ammorbidito un po' e dico che è stato un periodo tormentato, ma altamente creativo. Da non ripetere", ha commentato Parker.

La causa principale dei suoi tormenti fu l'avere a che fare con due artisti riluttanti al compromesso. Roger Waters e il fumettista Gerald Scarfe avevano creato lo stravagante spettacolo teatrale dedicato all’album e avevano lavorato insieme alle idee per il film, prima che Parker fosse chiamato a dirigerlo. La collaborazione si rivelò altrettanto stressante per Waters, che nel DVD del documentario sul film del 1999, aveva sottolineato che "ci sono stati gravi scontri in termini di stili e filosofia", e che lui, Scarfe e Parker erano tutti abituati a fare a modo loro e trovavano difficile scendere a compromessi. Una valutazione condivisa appieno da Parker: "Sì, penso che sia vero. Tre megalomani in una stanza; è incredibile che abbiamo ottenuto qualcosa". In più, a suo parere “era persino impossibile salutare Waters, senza diventare polemico”. Tuttavia, per il regista, un autoproclamato fan dei Pink Floyd fin dai tempi di ''A Saucerful Of Secrets'', l'opportunità di lavorare con il gruppo, è stata interessante. Il regista inglese, già in auge a Hollywood, grazie ad un impressionante numero di film di successo, (tra cui ''Bugsy Malone'', ''Midnight Express'' e ''Fame - Saranno famosi''), stava per iniziare le riprese di ''Shoot The Moon'' a San Francisco, con Diane Keaton e Albert Finney, quando una conversazione casuale con il dirigente della EMI, Bob Mercer, lo portò a conoscere Waters. “Durante il nostro primo incontro fu subito ovvio che Roger non fosse la tipica rockstar sballata. Quando ci siamo seduti nella sua cucina per parlare della storia del pezzo, mi illustrò l'evoluzione del lavoro, con frammenti di nastri demo originali, che aveva realizzato da solo. Questi erano crudi e arrabbiati: l'urlo primordiale di Roger, che ancora oggi rimane al centro del brano", ha dichiarato Parker.

In questa fase della sua vita, concentrato sul suo nuovo progetto, Parker non aveva alcuna intenzione di dirigere il film, anche se "Roger era molto persuasivo". Quando gli fu chiesto, perché pensava che Waters volesse che lo facesse, Parker rispose con incertezza: "Nessuna idea. Forse gli è piaciuto ''Midnight Express''. Dave Gilmour una volta si riferì alla pellicola come al mio ''Dark Side Of The Moon'', e fu molto lusinghiero". Mentre il regista era a San Francisco per le riprese del suo nuovo film, ricevette una chiamata da Waters che gli proponeva di produrre il film. "L'idea mi piaceva, perché mi permetteva di essere coinvolto in un progetto su cui nutrivo grandi speranze, senza dover sudare il sangue che si butta nella regia", ha raccontato. Per avere un'idea del compito che l’aspettava, Parker partì per la Germania, con Michael Seresin (suo cameraman di lunga data); voleva vedere i Pink Floyd suonare ''The Wall'' dal vivo. "Era impossibile non rimanere impressionati dall'immensità dell’esibizione”, ha ricordato il regista. “Il concerto fu probabilmente più grandioso e ambizioso di quanto in quel genere non fosse mai stato realizzato prima; uno spettacolo gigantesco, infuriato di Punch e Judy".

Paragonandolo ad un colossale spettacolo di marionette (forse non proprio come Roger Waters vedeva la sua tormentata, alienante storia semi-autobiografica), Parker ne era rimasto chiaramente entusiasta. In particolare era stato colpito dall'inquietante animazione di Scarfe e dall'impatto che la memorabile sequenza che coinvolgeva i fiori copulanti aveva avuto sul pubblico. Parker ha riconosciuto che la potente combinazione della musica dal vivo, l'animazione proiettata sui grandi schermi del trittico e la costruzione del vasto muro che attraversava il palcoscenico "ha creato una sensazione teatrale che sarebbe stato difficile migliorare nei limiti di un normale schermo in una sala cinematografica", colpito anche dal fatto che “tutto era dominato dal controllo quasi demoniaco di Roger sull'intero progetto. Nel backstage durante i concerti c'erano quattro roulotte in una piazza, una per ogni Floyd. Tre erano rivolte verso l'interno, verso un'area comune per chiacchierare e bere insieme; quella di Roger era rivolta verso l'esterno, con l’ingresso lontano da tutti gli altri''.

Concluse le riprese di ''Shoot The Moon'', Parker tornò a Londra e iniziò a lavorare con Waters e Scarfe allo sviluppo della sceneggiatura dell’autore. "Non era il caso che Rogers scrivesse la storia", ha dichiarato Parker, "si trattava di approfondire la sua psiche per trovare verità personali; ero più interessato alla finzione cinematografica". L'intenzione originale era stata quella di includere i filmati dei concerti di ''The Wall'', ma i tentativi di girare cinque live a Earl's Court si erano rivelati tutti disastrosi. "Michael (Seresy) e Gerry (Scarfe) – ai quali era stata affidata la regia del film - non hanno fatto i registi o addirittura non si sono resi conto di cosa dovessero fare esattamente", ha osservato Parker. "Per quanto mi riguarda, sono stato piuttosto inutile come regista impotente e ancor meno utile come produttore usurpatore e ho iniziato a fumare a catena per la prima volta nella mia vita". Di conseguenza, Parker accettò di assumere il ruolo di regista e l'intero concetto della pellicola venne cambiato. L'idea di includere i filmati dei concerti fu abbandonata, così, senza l'apparizione degli altri tre membri dei Pink Floyd - David Gilmour, Richard Wright e Nick Mason - si decise che Waters non dovesse più interpretare il personaggio centrale del film, Pink. Nonostante la sua natura ossessiva, curiosamente non fu difficile per Parker convincerlo a rinunciare al ruolo: "Era abbastanza freddo a riguardo. Non è stupido. Dopotutto non aveva alcuna aspirazione ad essere Laurence Olivier". Parker era indifferente alla recitazione di Waters, il quale per lui era "più vicino ad Albert Speer che ad Albert Finney''.

Cominciò così la ricerca di un sostituto adatto per il ruolo di Pink; e, colpito dalla performance di Bob Geldof nel video di ''I Don't Like Mondays'' dei Boomtown Rats, il regista si avvicinò al cantante (che confessò di non essere un grande fan dei Pink Floyd), e lo invitò a fare un provino. Parker rimase impressionato dalla prova di recitazione. Si trattava quindi soltanto di ottenere l’approvazione di Waters. In più, temendo che Geldof non fosse in grado di cantare le canzoni, il regista avanzò l’ipotesi che avrebbe potuto semplicemente parlare con la voce di Waters. "Alan convinse Roger che Bob era l'uomo giusto per Pink e che avrebbe dovuto registrare nuovamente le canzoni", aveva spiegato nel documentario il produttore del film, Alan Marshall. Le riprese iniziarono il 7 settembre 1981, con Parker che lottava per dare un senso alla storia che stava raccontando, scontrandosi al tempo stesso con il suo creatore; e terminarono, dopo 61 lunghe e faticose giornate, 977 scatti, 4.885 ciak e 350.000 metri di pellicola. In più c'erano più di 15 minuti di animazione di Scarfe, con oltre 10.000 disegni. Ci vollero otto mesi per completare il gigantesco lavoro di montaggio e riassumerlo in 99 minuti, prima che “Pink Floyd - The Wall” debuttasse fuori concorso al Festival di Cannes nel 1982. Due camion carichi del sistema di amplificazione per concerti del gruppo furono trasportati dall'Inghilterra per potenziare l'impianto audio del Palais.

Parker ricorda ancora la proiezione come "un'esperienza magnifica". La combinazione fra il suono assordante e le potenti immagini del film ebbe un grosso impatto sul pubblico del Festival, tra cui alcune celebrità di spicco: "Stephen Spielberg si alzò alla fine e si inchinò educatamente verso di me”, ha raccontato Parker. “Poi si avvicinò al suo vicino, Terry Semel, il direttore dello studio della Warner Brothers, dicendo chiaramente: Che cazzo era quello?”. Una domanda che molti si sono posti nel corso degli anni. "È un miscuglio, un amalgama di idee folli di Roger Waters", ha aggiunto Parker. "Penso che sia l'unica persona al mondo a sapere di cosa si tratti. Sono sicuro che la maggior parte di noi non lo sappia. Pensavamo tutti che fosse un mucchio di cose vecchie, in realtà. Penso che sia un film interessante, ma penso anche che fosse pretenzioso illudersi di sapere quello che stavamo facendo. Ma forse Roger l’ha fatto. Il resto di noi ha improvvisato tutto, mentre andavamo avanti". Negli anni, è saltato fuori che anche l'uomo la cui idea originale era alla base di tutto, rimase incerto di fronte al risultato. "Sono confuso", ha ammesso Waters nel documentario. E dal suo punto di vista il film è "profondamente difettoso, perché non si ride. Sono due ore piuttosto tristi". Nonostante lo smarrimento e la sofferenza legati al film, Parker oggi ritiene che i suoi aspetti pionieristici abbiano resistito piuttosto bene: "Gli effetti speciali e le tecniche di animazione sarebbero probabilmente più sofisticati al giorno d'oggi, ma nel complesso ''Pink Floyd – The Wall'' resiste ancora alla prova del tempo", ha concluso. (Virgin Radio)