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22/01/2023   PINK FLOYD
  I 50 anni del capolavoro ''The dark side of the moon'' nell'analisi di Lorenzo Morandotti

''The Dark side of the moon'' compie cinquant'anni. Che dire di non solo banale? Che è come la Nona del Ludovico Van? Beh, per me sì.

Ascoltandolo ininterrottamente almeno tre volte l'anno dal 1978, e una delle prime in una villa neoclassica con uno splendido impianto che comprendeva anche le mitiche casse Bose 901 quinta serie - per riflessioni sulle edizioni migliori dal punto di vista audiofilo del disco floydiano rimando al canale YouTube di Marco Lincetto della etichetta Velut Luna, che beato lui si è appena trasferito in quel di Valencia - potrei esibire una certa competenza sul tema. Ma lungi da me però fare sfoggio di cultura anche su uno dei dischi del cuore e da isola deserta.

Ognuno da un classico può trarre quello che gli pare, anche ignorarlo (ma è come leggere poco o nulla, ossia si vive male e solo la propria misera vita e non altre), e poi si dovrebbe sapere, come dice il critico George Steiner, che ogni classico ti legge dentro più di quanto tu possa fare con lui. Ed ecco il perché forse di alcune riflessioni "a margine" dell'evento, mezzo secolo per l'album rock più venduto della storia, mi paiono doverose.

Sta per uscire un cofanetto, irrinunciabile per i collezionisti, con la versione in blue ray e altre mirabilia, e il live del 1974 mentre i live preparatori del 1972 (all'epoca avevo sei anni, e vorrei una time machine per tornarvi e implorare di esservi condotto) sono già stati riversati sulle piattaforme digitali perché la band non ne perdesse i diritti. Non male per una band che si è creata una immagine "di sinistra", eh? Che tra l'altro, va detto, paga poco i collaboratori: Clare Torry ci ha messo anni e fior di legali per ottenere - con una somma transata mai rivelata - i crediti dovuti su "The great gig in the sky" di cui ha rivendicato la firma con i Floyd, e le è andata meglio che alla scuola che ha cantato in ''The Wall'' peraltro, per gli allora minorenni solo pochi spicci.

Ah, esce anche l'immancabile libro da collezione con foto e altri aneddoti. Per carità, è solo business, peraltro il barile è stato già ampiamente raschiato, a meno che non salti fuori una versione remix firmata James Guthrie come è stato tentato con "Animals", con tutti i rischi e i limiti del caso. Magari Alan Parsons, cui tanto il disco deve al banco di missaggio, ha qualche asso nel cassetto da tirare fuori, chissà?

Ribadisco quello che ho già scritto qui su Music Map sul disco dei maiali e delle pecore: dateci un software per poterci remissare l'album floydiano a piacere e finiamola lì. Intanto godiamoci quello che c'è, ossia "il" disco, quello vero, con le sue numerose implicazioni. Richard Wright ad esempio - lo sapevate? - che era il più musicalmente colto del gruppo, per "Breathe" si è ispirato nientemeno che a "Kind of blue" di Miles Davis. I capolavori che si riverberano in altri capolavori...

Personalmente mi accontento (e godo, specie con le mie Sennheiser HD 800 indosso) della versione Sacd del trentennale, correva l'anno 2003, anche perché lì dentro c'è la versione multicanale 5.1 che è una vera libidine uditiva, viaggio nel viaggio, una esperienza lisergica di quelle potenti che non si dimenticano. Se avete un impianto home theatre e un lettore sacd multicanale, o potete farveli prestare dal vicino o da un negoziante compiacente, consiglio di non perdere l'occasione. Del resto ''Dark Side'' è un album pronto a tutto, inossidabile, può sopportare anche versioni all'indietro, reggae, dub, sinfoniche o metal - cercatele online per divertirvi - e anche le repliche che gli stessi Floyd hanno prodotto negli anni ("Money" rifatta per i passeggeri degli aerei nel 1981 nella antologia "A collection of great dance songs"), comprese le formazioni vedove di Waters e quelle dello stesso Waters dal vivo in tempi recenti.

Un disco oggettivamente impeccabile e profetico, avanti anni luce rispetto alla produzione coeva anche degli stessi Floyd della cui creatività è l'apice, la madre di tutti i concept album, figlio del suo tempo come ogni creazione terrestre ma capace come sanno fare e insegnano appunto i classici di trascenderlo ed essere come si suol dire tremendamente attuale, eone dopo eone, epoca dopo epoca.

Un album insomma che le orecchie abituate solo (ai limiti della dipendenza) alla feccia che transita mediamente oggi nelle orecchie - e vale assai meno del cerume che attraversa - dovrebbero almeno sentire almeno una volta nella vita. Anche perché non so se lo avete notato ma è tutto un pullulare di live "farewell" ossia di addio: lo stesso Waters ormai prossimo agli 80 ne ha uno in agenda quest'anno, e anche i mitici B'52s ne hanno tenuto uno. Segno che le vecchie glorie, a meno che non ci pensi prima la signora con la falce a visitarli come è successo ai poveri Jeff Beck e David "Croz" Crosby, stanno salutando i fan per l'ultima volta e all'orizzonte non si vedono sostituti degni neanche di allacciare loro nemmeno le scarpe. Figuriamoci i sovraesposti e ampiamente sopravvalutati Maneskin, finalmente il buon Uto Ughi ha sentenziato da par suo: sono solo aria fritta e della peggior specie. Ma ogni epoca ha le band che si merita, no?

Buon ascolto e buon anniversario a ''Dark side'' quindi, sperando che nuove generazioni di fedeli floydiani si succedano sul pianeta e rendano onore alle sette note come Erato comanda. Ora e sempre viva (solo) la buona musica. (Lorenzo Morandotti)