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17/10/2023   ROGER WATERS
  The Dark Side Of The Moon redux: una storia immaginata...

Una sera d’inverno. Il fuoco nel camino scoppietta... Roger, per rompere il silenzio tra un sorso e l’altro di un qualcosa che ha comprato al bar, chiede ad un certo punto se può raccontare una storia. In quel momento, casualmente sono presenti qualche vecchio amico, un paio di nipoti, con appresso le rispettive ragazze.

Roger è in vena di raccontare qualche aneddoto attorno a quel disco che tanta fortuna (economica...) gli ha portato. Ovviamente non solo, ma in cinquant’anni ha fatto indubbiamente discutere spesso. Non lo riteneva neanche il miglior disco della sua ex band, ma tant’è...

“Eravamo giovani e pieni di energie, come lo erano anche i ragazzi dello studio, gasati all’idea di provare nuove diavolerie sonore, nuove macchine in grado allora di creare suoni dell’impossibile da ogni dove...”.

Roger racconta di quanto era arrabbiato ma allo stesso tempo frustrato. Da molto vedeva prevalere l’ingiustizia nel mondo, mentre lui ansioso di cambiare le cose, aveva le mani legate dal suo esser borghese, dal non riuscire ad immaginarsi povero, dal potere dei soldi che comunque paradossalmente erano necessari anche per le sue battaglie.

Erano i primi anni ’70 e quel long playing nascondeva nuove sonorità in ogni solco, un lavoro straordinario frutto dell’ingegneria acustica. Era immaginabile che con tale spiegamento di forze, alla fine fossero usciti suoni futuribili e spaziali, che al chiudere gli occhi potevano smarrire.

“Talmente innovativo da sviare quanto di mio volevo dire. Non dico che ne sia pentito, ma da un po’ di tempo sto pensando che quella parte mai esposta al sole della luna, potrebbe essere raccontata anche con le parole. Con le parole si possono descrivere i disagi di uno che convive con la parte oscura della mente, del cuore, dell’anima...”

...sorso...

“Oggi vedo un altro mondo. Avverto altre urgenze. Da quel lato oscuro e buio, è uscito il peggio dell’uomo. Fosse bastata l’alienazione...”.

Con lo sguardo nel vuoto e dopo un altro sorso, Roger continua a parlare, con voce bassa e profonda, a tratti quasi impercettibile. “Oggi vedrei quelle musiche suonate in un altra maniera. Perchè le parole hanno un altro peso ed è urgente riscoprire il loro valore, lasciar loro spazio, respiro”.

Quei giovani presenti mentre Roger pensa ad alta voce, lo guardano un po’ straniti. “Scusa Roger, ma non pensi che i fan dei Pink Floyd potrebbero incazzarsi?”. “Quello è il problema minore, ragazzo. Possibile che non possa fare di quello che è mio ciò che voglio? Perchè dovrei temere uno che in cinquant’anni ascolta sempre quella roba? Quei suoni sono diventati come una prigione... La mia generazione, come artisti hanno fallito!”

“Non capisco...”. Continua il ragazzo. “Secondo me quelle musiche sono ancora bellissime!”.

“Lo rifarò, lo ricanterò quel disco, esattamente come lo farei oggi, che non ho più trent’anni. Sono un reduce e di quelle musiche ho intenzione di salvare il salvabile, cercando di liberare me stesso per primo da quella prigione. In fondo, la bellezza non è più la sola cosa importante. È in gioco altro! Nostalgie? No. Forse qualche rammarico... Ogni cosa, ogni uomo a suo tempo”.

Roger non aveva ancora finito di bere. Si avvicina al pianoforte accennando ad una melodia... Ma si alza con un fare disturbato ed esce in giardino. (Mauro Furlan)