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19/10/2025
04/10/2025 PUFF DADDY
Condanna a quattro anni e due mesi di reclusione per il magnate dell'hip hop
Forse è servito. Forse no. L’ultimo disperato appello di Sean Combs che in una lettera si era rivolto direttamente al giudice chiedendo clemenza e appellandosi al suo percorso di sobrietà intrapreso ormai da qualche tempo evidentemente ha convinto solo fino a un certo punto. Il rapper e produttore è stato condannato a quattro anni e due mesi di reclusione al termine di un processo seguito in modo massiccio dal pubblico americano.
La sentenza di colpevolezza era già stata pronunciata dalla giuria due mesi fa: al giudice il compito di stabilire la sentenza e di pronunciare le sue motivazioni. Una condanna quella di di Sean “Diddy” Combs, in arte Puff Daddy o P.Diddy, che arriva al termine di un procedimento che, fin dall’arresto e poi con il processo, ha catalizzato l’attenzione mediatica ben oltre il perimetro dell’hip hop.
Al centro ci sono due capi d’imputazione legati al Mann Act, la storica normativa federale statunitense che sanziona il trasporto di persone attraverso confini statali per scopi sessuali illegali. In aula, gli inquirenti hanno ricostruito i cosiddetti “freak‑offs”, feste a base di incontri sessuali organizzati e documentati dal produttore, e i viaggi di sex worker e partner per parteciparvi. A queste feste partecipavano non solo amici, colleghi, soci e collaboratori di Sean Combs ma anche moltissimi notabili del mondo musicale, cinematografico, imprenditoriale e politico.
Diddy è stato invece assolto dalle contestazioni più gravi, tra cui traffico di esseri umani e associazione a delinquere, ipotesi che avrebbero potuto spalancare la prospettiva dell’ergastolo. Ma le due condanne per la violazione del Mann’s Act potevano costare fino a dieci anni di carcere l’una.
I quattro anni e due mesi, uno dei quali già scontato in attesa del processo, sono dunque una condanna tutto sommato mite rispetto a quello che Sean Combs avrebbe rischiato in un primo momento quando l’inchiesta è venuta fuori in tutto il suo clamore.
Il giudice federale ha ritenuto necessario un verdetto “significativo” per ragioni di deterrenza generale, bilanciando da un lato l’assoluzione sui capi più pesanti e, dall’altro, la gravità dei fatti accertati. Il conteggio finale fissa la pena in 4 anni e 2 mesi di reclusione, con un periodo di supervisione al rilascio e un’ammenda economica ingente.
In udienza, Combs ha letto una dichiarazione di scuse, ammettendo errori e chiedendo clemenza; la corte ha tuttavia sottolineato che “una storia di buone azioni non può cancellare gli abusi documentati”. La richiesta dell’accusa era di undici anni, mentre la difesa auspicava una pena ben più contenuta, non oltre un anno, cosa che avrebbe consentito a Combs di tornare suibito in libertò; la decisione si è collocata in una fascia intermedia, ritenuta proporzionata dal tribunale.
La condanna di Sean Diddy Combs segna un punto di svolta simbolico per l’industria musicale: l’immagine del tycoon della Bad Boy Records si confronta ora con un precedente giudiziario che farà scuola nei processi di accountability delle star.
La difesa ha annunciato l’intenzione di ricorrere in appello, contestando l’interpretazione del Mann Act e la misura della pena. Sul piano pratico, la sentenza congela ulteriormente brand partnership, cataloghi e progetti multimediali legati al nome di Combs, il che significa che l’ingentissimo patrimonio del produttore subirà un colpo molto duro, forse letale.
Mentre prosegue il dibattito pubblico sul confine tra condotte private, abusi di potere e responsabilità penali, c’è però un altro aspetto: il fatto che nel tentativo di ottenere una pena più mite Combs possa anche raccontare chi partecipava a quelle feste e con quali conseguenze penali rendendo l’inchiesta un autentico tsunami. Al momento Combs resta nel carcere federale di Brooklyn dove ha trascorso il suo ultimo anno in attesa dell’appello con la prospettiva di uscire entro la fine del 2028. (Soundsblog.it)