MAURA  "Storie di arcieri e altri animali"
   (2023 )

In principio, Mina, Dalila, Milva, poi arrivarono Giorgia, Elisa, Noemi ed ultimamente Elodie, Annalisa, Gaia. E’ lungo l’elenco delle cantanti che han scelto di presentarsi in scena omettendo il cognome, come fosse un segno eloquente che non conta la completezza del nome ma quella della loro proposta.

Analogamente, sulla scena delle emergenti, io vi esorterei a sintonizzare i vostri radar su Maura (Fatima Maura Zucchi), la quale esordisce con l’album “Storie di arcieri e altri animali”, prodotto da Francesco Pontillo e Mattia Dallara.

E cosa ci sarebbe di interessante? Parecchie cosucce. In primis, Maura arriva al debutto con un fitto background non proprio comune a tutte, e ciò che ha assimilato, sia nel primo collettivo dei Bluastri che in tante altre occasioni, le ha permesso di racchiudere tanta finezza scritturale negli otto brani in elenco.

In secondo luogo, se sbirciate le liriche, provate a pensare quante sono le artiste che, a soli 25 anni, imprimono ai versi cotanta profondità descrittiva ed ideologica, che fanno del suo songwriting un elemento distinguibile tra le nuove promesse del cantautorato rosa...

Analizzando i primi quattro singoli estratti (“Nel mio bosco”, “Terra bruciata”, “Rubi in chiesa” e “Tu fai di me”) sorprende come la Nostra sia capace di spaziare dall’astrattismo sognante ad un pulsante pop-rock, o concedere battiti ponderativi incalzanti e dolci al contempo: che, tradotto, si scrive eclettismo contemporaneo.

E la freschezza d’insieme si cattura all’istante, e questa, peraltro, non ti porta mai a pensare che si tratti della solita proposta strategica, bensì un chiaro segnale che ci sono ancora protagonisti silenti che non hanno problemi a mettersi a nudo, a patto di preservare schiettezza ed identità propositiva.

Eterea, fluttuante, leggiadra è una perla come “Già da settembre”, mentre asserzioni vellutate e delicate regnano nella spirituale “Quando ho visto te”, prologo all’intimissima “L’acqua, il finale” che chiude i battenti dell’opera, lasciando vistosi segni di intelligenza creativa che vanno al di là di ogni fine secondario ma puntano, essenzialmente, a condividere forti emozioni. Obiettivo centrato. (Max Casali)