TRUST THE MASK  "Idiom"
   (2023 )

Fidatevi delle maschere. Di quelle che indossano Elisa Dal Bianco e Vittoria Cavedon, nel dare forma dal vivo al loro duo electro-pop Trust The Mask. Sono copricapi che, anziché nascondere le loro identità, le fanno emergere, le raffigurano, diventando allegorie di liberazione.

La voce di Cavedon a tratti suona come quella di Chiara Zanon, nei suoi Human Suit, progetto di qualche anno fa. L'elettronica delle Trust The Mask è però più rotonda, meno aggressiva e tende al celestiale anziché all'infernale, come negli arpeggi di “Unsaid”. Uscito per Bronson Recordings, l'album “Idiom” è uno sguardo sull'essere umano contemporaneo, sulla sua solitudine contrapposta alla naturale necessità di connessione (“We're in the middle of a crowded place”, ci ambienta la canzone d'apertura “Juniper”). E a proposito di isolamento, “Otaku” ricorda le persone che si rifugiano nel mondo degli anime e dei videogiochi, mentre al contrario, “Will you come?” esplora i legami, e il desiderio di proseguirli (“Will you come to my home?”). Queste due canzoni opposte sono state scritte assieme a Matteo Vallicelli (The Soft Moon).

Appare un'altra firma con “Frontiers”, quella di Alessandro Zoffoli, cioè Cemento Atlantico (http://www.musicmap.it/recdischi/ordinaperr.asp?id=8744), artista da sempre dedicato ad unire sonorità distanti tra loro, con la sua visione globale. È preziosa la partecipazione di Giuseppe Dal Bianco, che in più brani suona 4 diversi strumenti a fiato: il duduk armeno, il flauto indonesiano, l'alboka che è una tromba basca, di legno e bambù, e la zhaleika, diffusa in Russia. Questa presenza aiuta il duo a raggiungere quella dimensione che cerca, di connessione con il mondo.

Oltre a brani più melodici e a presa rapida, ce ne sono di più sperimentali come “Murder flashback”, che è un'ambientazione più ruvida del solito, dove i suoni sembrano minacce, e l'album è chiuso dalle voci filtrate di “You're not fine”, che chiudono con una domanda poco gentile: “What would you do if I stay? You're not fine”. Però non perdiamo di vista il messaggio generale, cantato in “Magnets”: “We are magnets”. Siamo magneti. Speriamo non dello stesso polo, per respingerci, ma di poli opposti, per unirci. (Gilberto Ongaro)