SARAH MARY CHADWICK  "Messages to God"
   (2023 )

Traboccante di una strabordante intensità, interamente eseguito sul filo di un sovraccarico emozionale volutamente sputato in faccia al pubblico delle prime file, impregnato di una franchezza a tal punto diretta da poter sembrare perfino disturbante, “Messages to God” è l’ottavo album per Sarah Mary Chadwick, artista australiana originaria di Melbourne, qui sulla storica etichetta Kill Rock Stars con dieci nuove tracce intrise di un’urgenza che - se possibile – suona ancora più pressante rispetto ad ogni passato lavoro.

Quarantatré minuti sgolati, talora sul filo dello strappo, trascinati da un pianoforte indispettito e da svariati compagni di ventura ad arricchire melodie traballanti, esitanti, scarne. Stralunate ed imperfette sì, eppure forse il solo accompagnamento plausibile per sorreggere testi che grondano tutto il peso di un’atavica insicurezza, veicolata da un espressionismo sovraesposto, violento persino, cui fa da contraltare la simulata dolcezza del pianoforte, accomodante a tratti, altrove tormentato e martellante.

Sparsi come chiodi lungo la via, echi di John Grant (“Don’t Tell Me I’m a Good Friend”), Linda Perry (“Shitty town”, con Hank Clifton-Williamson al flauto) e Joanna Newsom (“Only Bad Memories Last”), con isolate concessioni ad un songwriting più convenzionale (“Drinkin’ on a Tuesday”, vicina a Rickie Lee Jones) o sporadiche aperture ad una scrittura che sia davvero lineare tout court (“Someone Else’s Baby”).

Disco dolceamaro, sopra le righe, denso come lava, parole e note in caduta libera da una cascata capace di travolgere col suo moto impetuoso, “Messages to God” è un un rosario personale che narra di cadute e redenzione, di speranza e fallimenti, lavoro incompromissorio che non concede requie, nonostante la compostezza ed i modi gentili. Sottilmente ingannevole, cela dietro il paravento di un falsa armonia di facciata la propria severa autoanalisi, mentre mena fendenti con il sorriso a denti stretti di chi attende la prossima tempesta. (Manuel Maverna)