VINCENZO TROPEPE  "Cammisa janca"
   (2023 )

Questo di cui vi parlo oggi, non è un disco che nasce per sfizio o per capriccio, visto che lo pubblica un signor musicista blues che ha toccato le 57 primavere e che ha esperienza da vendere a vagoni, forte del suo apprezzato e fitto background collaborativo con artisti nostrani e stranieri.

Parlo dell’estroso ed eclettico Vincenzo Tropepe, il quale ci propone l’album d’esordio “Cammisa Janca”, guarnito di nove perline intimiste e personali, che brama di raccontarsi con pregiata semplicità, lasciando defluire un bel idioma narrativo.

Pensate: all’inizio concepito in lingua inglese, gli viene bisbigliata la dritta da Don Antonio Gramentieri (già al lavoro con Hugo Race, Dan Stuart) per volturare l’opera in dialetto natio calabro e far quindi prendere ai brani una dinamica diversa ed accattivante, dichiarando altresì l’amore per la sua terra.

Risulta palpabile un’indubbia compattezza e solidità d’insieme, tra folk, blues e country, nella quale la parte testuale gronda sfumature di ironia, fermenti d’animo, malinconia ma mai arrendevole, visto che spicca la sua indole combattiva.

Alla prima tappa, Vincenzo sferra il bel rock di “Senti u cielu comu Chiovi”, mentre gagliarde ed efficaci risultano sia “Comu N’Angelu” che “U dottori”, ma lo spirito contemplativo spinge l'artista verso i terreni della viscerale titletrack, di “Jeu gridu” e “Metallo e orchidea”.

In risalto, troviamo lo slow-blues di “Cani ‘Mbestialutu” ma, a mettere i puntini sulle “i”, ci pensa la tenace “Oh Signuri”, prologo finale di “U fiumi” che detta ottimi segnali di rock, con un finale epico tra assoli di tastiere e (soprattutto) di chitarra.

A bocce ferme, si realizza che il dialetto non circoscrive l’arte entro determinati ranch partiturali ma, semmai, li estende per offrire visioni musicali più ampie e stimoli ragguardevoli per altri artisti che vogliano perseguire simili progettualità. E (non da ultimo…) Vincenzo ci ha dimostrato (alla grande!) che l’arte non è mai troppo tardi per metterla nero su bianco. (Max Casali)