EUGENIO FINARDI  "Sugo"
   (1976 )

Attorno agli anni '70, la musica di Milano era in fermento. Se fino a quel momento i giovani musicisti avevano cercato interlocutori nelle case discografiche tradizionali, trovandoli anche spesso (come era accaduto ai primi cantautori ed ai tanti gruppi progressive), in quel periodo i giovani musicisti più impegnati politicamente cercavano invece di svecchiare l'industria discografica cercando soluzioni alternative alle "antiche" major. E' infatti di quel periodo la nascita di diverse etichette "indipendenti" che avrebbero avuto il grandissimo merito di offrire opportunità a musicisti che, altrimenti, difficilmente avrebbero trovato ascolto in ambiti più "ufficiali". E' ad esempio il caso, in ambito pop e rock, della Numero Uno di Battisti e Mogol, e in ambito "alternativo" della Ascolto, dell'Ultima Spiaggia, e soprattutto della Cramps. Attorno alla Cramps si muoveva un variegata fauna musicale latrice di proposte artisticamente anche molto diverse, ma con lo stesso denominatore comune di un impegno politico per lo più sconosciuto (in questi termini e con questa decisione) sia ai cantautori del decennio sia i gruppi progressive. Area, Stormy Six, Alberto Camerini, Arti+Mestieri, Claudio Rocchi, tutta una serie di sperimentatori e jazzisti come Mario Schiano, Juan Hidalgo, Walter Marchetti, Derek Bailey e molti altri gravitavano attorno alla Cramps e alle sue etichette Divergo e Nuova Musicha, spesso dando il loro contributo creativo alla realizzazione del nuovo album di questo o quel collega. Una sorta di "comune" artistica "coordinata" dal grande e compianto Gianni Sassi. Tra di loro c'era il giovane Eugenio Finardi. Ex chitarrista dei Pacco (con Walter Calloni e Alberto Camerini), aveva inciso per la Numero Uno un paio di singoli in inglese (aveva madre americana ed è sempre stato bilingue) prima di seguire Demetrio Stratos (ex Ribelli e futuro Area) alla Cramps. Lì aveva trovato terreno fertile e orecchie disponibili, e nel '75 aveva inciso "Non gettate alcun oggetto dal finestrino", album che evidenziava immediatamente la distanza tra lui e il panorama musicale italiano del periodo. In quel disco non c'erano le magiche atmosfere della PFM e neppure il misurato impegno sociale (non diciamo politico) dei "colleghi cantautori, eletta schiera": c'era rock, rabbia, urgenza, ribellione. Tutte caratteristiche che sarebbero state messe compiutamente a fuoco l'anno dopo con il successivo "Sugo". Album musicalmente e contenutisticamente più evoluto, contiene almeno due canzoni in grado di lanciare in orbita Finardi: "Musica ribelle" e "La radio". La prima era il vero manifesto artistico e politico del cantautore (definizione che a lui, comunque, andava stretta), la seconda, commissionata un po' per scherzo, come jingle, da Radio Popolare, divenne il vero inno delle nascenti radio libere. L'album non era comunque tutto lì, anche se poi quelle furono le canzoni che sarebbero "restate". A parte "Quasar", nervoso strumentale jazzrock assolutamente improbabile nel disco di un qualsiasi altro "cantautore" ma perfettamente inserito in questo clima e in questo progetto, e nel quale è evidente la presenza dei musicisti degli Area, è chiaro che questo album nacque soprattutto per "dire". "Soldi", "Voglio", "La Cia", "La paura del domani" sono brani che esprimono tutta l'urgenza di denunciare ciò che non funzionava (e non avrebbe mai funzionato) per una generazione che, come avrebbe cantato l'anno dopo lo stesso Finardi in "Diesel", voleva "Tutto e subito". Tuttavia, proprio la foga, la convinzione e la verbosità anche eccessive di queste canzoni gli alienarono le simpatie di un pubblico che poteva apprezzare i contenuti ma mal sopportava i comizi. D'altra parte proprio queste canzoni fecero di Finardi il "cantore" ufficiale di un certo movimento politico "musicalmente orfano" dei Pietrangeli o dei Della Mea che avevano portato la politica in canzone nel decennio precedente. L'impegno di Finardi non sarebbe mai venuto meno: nel successivo "Diesel" avrebbe trovato modi più musurati e una musicalità più intensa: sarebbe cambiato il mondo intorno a lui, invece. Un cambiamento che Eugenio non volle o non seppe sempre seguire. (www.luciomazzi.com)