HUMULUS  "Flowers of death"
   (2024 )

Quando avverti convinzione d’intenti e coriacità progettuale, non ti resta che applaudire a scena aperta collettivi come i bresciani-bergamaschi Humulus, che proseguono con indiscusso vigore il loro credo verso generi in Italia poco diffusi a macchia d’olio come lo stoner, psych-rock e alt-metal. E lo ribadiscono rilasciando il quarto album “Flowers of death” e reggendo, altresì, l’impatto di un terzo cambio d’ugola, ingaggiando Thomas Mascheroni che (sia chiaro!) non fa rimpiangere i due colleghi precedenti e non apporta certe inevitabili varianti strutturali.

Quindi i 7 brani dell’album ve li potete assaporare senza alcuna malinconia del passato: il disco suona bene, con caparbietà ideativa e risvolti elettrizzanti, che dan gusto ad un groove molto ben impattante e versatile. In tal senso, è emblematica la sconquassante “Secret room”, la quale senza un’adeguata capacità, non potrebbe risultare credibile ed invece… è così anche per la titletrack, abile nell’esaltare certi meccanismi collaudati di alt-rock preponderanti e penetranti, mentre “Black water” ci fa rivivere fasti seventies per una misurata forza d’urto che lambisce forze occulte di efficacia risolutiva.

Una piccola ombra si abbatte su “Shimmer haze”, ma i ragazzi sanno riprendersi dal minuscolo inciampo, rialzandosi alla grande con l’eclettica “Operating manual for spaceship earth”, dieci minuti di una suite non suite maestosa che non soffre di momenti lacunosi e che infonde attrattive di non poco conto: insomma, un “manuale d’uso” con ipnotiche e formidabili istruzioni, per farla propria tra le nostre principali scelte.

A tirar le conclusioni su “Flowers of death” ci si mette poco: disco dal vigore trainante, che porta avanti a testa alta un genere non proprio di massa ma che rende molto lieti coloro che se ne fregano di ascolti inflazionati optando, piuttosto, per soluzioni di spessore come quelle proposte dagli Humulus. Chi ha la forza di obiettare? (Max Casali)