MASSARONI PIANOFORTI  "Maddi"
   (2024 )

Spero che Gianluca Massaroni non se ne avrà a male, ché è senz’altro persona di spirito, ma stavolta mi ha davvero messo in grande difficoltà.

Perché “Maddi”, su etichetta Maremmano Records e quinto album del suo apprezzabile, lodevole, consistente percorso artistico, è davvero un disco adorabile, ma - ahimè, problema mio – è un concept, e per i concept bisogna avere la giusta predisposizione.

E’ una questione di forma mentis. I concept talora impediscono di godere di un disco a piccole dosi, e per chi ami bersi una canzone alla volta, un sorso dopo l’altro, concentrandosi su quel ritornello perché è bello così o su quel testo perché evoca chissà che, riascoltando sei volte di fila un brano perché sì, saltandone uno che invece non funziona perché magari è in si bemolle, non rappresentano il format ideale.

A volte – opinione personale - i concept somigliano ad un libro: se salti un capitolo, peggio per te, la storia perderà senso compiuto, e alla fine ti toccherà comunque tornare indietro a cercare il nome di quel personaggio, senza il quale la trama fa acqua da tutte le parti. E alla fine del disco, sei quasi stanco, perché invece di rilassarti ti è toccato uno sforzo di concentrazione supplementare per unire i puntini da 1 a tot: altro che relax, sogno ad occhi aperti, giostra di ricordi, fantasie assortite. Qui tocca studiare, che poi domani interroga, meglio approfondire, e anche bene.

Ecco: se c’è però una piccola cosa di cui Gianluca Massaroni può andare blandamente fiero, è che “Maddi” io l’ho ascoltato tre volte di seguito, proprio premendo play con gesto ciclico al termine dell’ultimo brano. Perché, nonostante sia un concept, santo cielo: è un lavoro delizioso. Che ti spinge sì lungo l’itinerario che si è dato, ma ti concede dei margini per evadere, eclissandoti come e quando credi. Cioè: ti puoi distrarre, e tutto ha senso ugualmente, più o meno.

Molto liberamente ispirandosi alla secret story Gesù-Maddalena, Gianluca attualizza il canovaccio, con un Giovanni qualsiasi in veste del Salvatore ed una quasi omonima Maddi Eléna nel ruolo della presunta peccatrice, in realtà due anime perse alla ricerca di un perdono che – spoiler alert – non arriverà, anzi. Finale tragico in agguato fin dalla progressione di accordi minori che innervano lo strumentale “Tema di Eléna” in apertura, dal quale intuisci già che ci sarà ben poco da stare allegri. Nel mezzo, prima dell’altro minuto strumentale de “L’epilogo di Maddi” che chiude il racconto, quaranta minuti di musica bella, desueta per vocazione, stilisticamente figlia di tanto cantautorato d’antan che rende il milieu ancora più godibile, specie per chi non sappia rinunciare a quel filo di nostalgia canaglia ben sepolta nell’anima, in fondo all’anima. Vestigia di Dalla, Baglioni, Gaetano, De André, Fossati si lasciano volentieri seguire attraverso un dedalo di vicoli che rimandano gli odori vissuti di via Prè e le ombre assortite di un qualsiasi inferno a scelta, tra i molti realmente disponibili.

A seconda della necessità del momento, il linguaggio si alza e si abbassa, facendosi forbito o triviale, affidandosi alla poesia o al turpiloquio quando il copione lo prevede, senza infastidire o creare turbative, spesso trattando di una viscerale carnalità cui fa da contraltare l’aspirazione ad una vita altra, libera da costrizioni e scevra dal pregiudizio, snodo centrale dell’opera.

Lungo la strada, lastricata di mestizia, perdizione, maledetta sfortuna e ben poca redenzione, i personaggi, confusi in una gimkana affatto agevole tra prostitute ed anime inquiete, buchi nelle braccia e figli in grembo, si muovono in una greve oscurità, rischiarata solo a sprazzi da luce falsa e promesse sgonfie. Disseminate lungo il tragitto, perle sparse come briciole di Pollicino conducono verso quel nulla che appare ineluttabile fin dalle premesse: dal grigiore desolato di “Genova” agli archi toccanti de “L’amore del piccolo Geko”, dalla contagiosa bossa nova à la Capossela di “Secondo Giovanni” al refrain tristemente irresistibile di “San Francesco”, “Maddi” conserva intatto un fascino avvolgente, sublimato da una costruzione concettuale e linguistica accurata e preziosa. Traboccante di sentimenti contrastanti, intenso e ricco fin quasi all’opulenza, da bersi una canzone alla volta o tutto d’un fiato, poco importa: sono dischi così a segnare il confine – netto, evidente – tra la musica che gira intorno e quella che ha futuro, fosse anche un futuro per pochi. (Manuel Maverna)