AGUIRRE  "Belle époque"
   (2024 )

Gli Aguirre presentano il loro secondo album “Belle époque” (Snowdonia Dischi). Giordano De Luca (voce, piano, chitarra), Martino Cappelli (chitarre, cori), Alice Salvagni (basso, cori) e Giulio Maschio (batteria) sono i componenti di questo gruppo romano, nato nel quartiere del Testaccio.

Di base loro si definiscono come pop mutante, una fiaba noir tra psichedelica e rock progressivo, dal cantautorato fino a derive post punk e noise. E in ''Belle époque'' ci si trova davanti a tutto questo, 15 canzoni che corrono veloci e si inseguono in maniera irriverente spiazzando anche il più attento ascoltatore.

Partiamo dal fatto che questo è un disco “indecifrabile”. Non perché sia bello, brutto o mediocre, ma semplicemente perché più lo ascolti e più ogni volta ci trovi qualcosa di nuovo che si era nascondo in precedenza. Ascolti, lo riascolti, resti smarrito. E’ un labirinto di vie, tra rock eclettico e teatrale.

Indipendenza e libertà le si trovano sia nella partitura delle musiche che nei testi provocatori delle canzoni, tutti scritti da Giordano De Luca, e che ti arrivano subito come un rasoio affilato ove si adduce una fuga dalla realtà, come dice lo stesso frontman: “una insopprimibile tendenza ad uscire dal reale”.

L’album in sé presenta luci ed ombre a seconda di quanta fame reclama la pancia. “Bambola chimica” e “L’alieno” sono pezzi di grande spessore, “Il richiamo” è una ninna nanna dove la voce, soave, delicata e al tempo stesso allucinata, porta a atmosfere rarefatte. “Una situazione” piace per come il testo muti, esattamente come la persona raccontata dentro di esso. “Wild l’anacoreta” è un viaggio psichedelico in mondi distopici verso un futuro fluorescente.

Tra tutti i brani quello che colpisce di più è “On N’enchape pas a la machine” che parte con un super basso pompato al massimo per arrivare al finale a sorpresa con un valzer noisette. Ma il titolo non è casuale, è la citazione del grande filosofo francese Gilles Deleuze (“non si sfugge alla macchina” è l’evocazione alla circolarità della catena di montaggio della vita). Citazione poi ripresa anche dal grandissimo Carmelo Bene. Rubiamo un frammento di testo di questa canzone perché Giordano scrive senza farsi influenzare dalla massa: “ad ogni stagione una consolazione per prenderlo in c..o con gravità patetica”.

Chiude il disco “Alla mostra di Guttuso”, un valzer che ricorda nel suo stile Battiato. In questo album non c’è omologazione, è creato quasi come un gesto di protesta verso il dover cercare un posto obbligato. Ma allora, concludendo, che disco è “Belle époque”? Rock? Prog? Psichedelia? Pop? Cantautorato? Dovete proprio capirlo da voi. Molto particolare la copertina del disco, curata da Andrea Barazzutti, un mosaico di simboli profondamente diversi tra loro. (Pier Ghiglione)