MARCO CANTINI  "Zero moltiplica tutto"
   (2024 )

Questo disco esce a fine novembre 2023 per Radici Music ed è il quarto nella carriera da cantautore di Marco Cantini, artista toscano con alla base un diploma di liceo artistico e una laurea in architettura.

La grafica della copertina, realizzata dal pittore Gianni Dorigo, richiama alla memoria il disegno presente sul disco “Ho visto anche degli zingari felici” di Claudio Lolli, cantautore che sembra aver ispirato Cantini anche dal punto di vista musicale. Mentre le bandiere raffigurate nel caso di Lolli sono tutte rosse, alludendo al comunismo come possibile soluzione ai mali sociali, quelle dell’album di Cantini sono nella maggior parte bianche, facendo quindi pensare alla pace… ma una bandiera rossa, più ridotta come dimensioni rispetto a quelle bianche, si può notare anche qui.

Il titolo del progetto, “Zero moltiplica tutto”, sembra promettere tutt’altro che felicità. Se si pensa alla tabellina dello zero imparata nei primi anni di scuola, si nota che i risultati, indipendentemente dal fattore che viene moltiplicato per zero, sono tutti uguali a zero. L’idea è probabilmente quella per cui tutti gli sforzi che facciamo nella vita (individuale e sociale) sono inutili, in quanto tutti portano verso il nulla. Infatti, nel brano “Milionari di lacrime”, che tratta di Pablo Neruda, Cantini lo afferma in modo esplicito: “Essere nati così, senza motivo”. Al cantautore manca quindi uno sguardo rivolto verso il futuro (un’utopia) oppure verso l’alto (una trascendenza) che possa dare alla vita un motivo e un senso… Dunque tutto si azzera.

I testi dei brani, scritti quasi tutti da Marco Cantini – tranne quello di “Camminando e cantando”, omaggio al cantautore brasiliano Geraldo Vandré, tradotto da Sergio Endrigo e Sergio Bardotti – raccontano di alcune figure segnanti della storia dell’arte e della letteratura, tutte avendo in comune la lotta contro i regimi fascisti e militaristi, sebbene in alcune canzoni l’autore abbandoni il discorso storico-sociale e si riferisca esclusivamente alla tristezza della propria vita, al tempo che passa e fa lasciare indietro i ricordi, alle perdite delle persone care.

Nelle canzoni con tematica storica e sociale, l’ascoltatore si sente dire in meno di un’ora tanti nomi propri di persone, di opere e geografici – Hemingway, Kerouac, Modigliani, Maurice (Utrillo), Jeanne, Dante, Verlaine, Picasso, Apollinaire, (Rue de) Vaugirard, “I canti di Maldoror”, Calvino, Flora Tristan, Lima, le Ande, Paul Gauguin, Val Paraiso, Capo Horn, Dario Ruben, Nicaragua, Lisbona, Parigi, Joyce, Salgari, Dublino, Escorial, Granada, Aventino – che gli richiedono l’impegno di una ricerca individuale volta alla migliore comprensione del disco. Ciò, per certi versi, è un bene, perché viene apportato un contributo almeno teorico all’innalzamento del livello culturale generale; ma per altri versi esiste un’alta probabilità che una parte del pubblico si senta sopraffatta intellettualmente e che alla fine rimanga con poco o nulla di quanto ascoltato.

Forse sarebbe stato più efficace ai fini educativi se i riferimenti culturali fossero stati usati come sostegno alle proprie idee (presentate in forma più semplice e facendo leva sull’emotività), anziché esporli di per sé, come protagonisti, correndo così il rischio del nozionismo e dell’autoreferenzialità.

È arduo presentare e spiegare in modo analitico il contenuto dei testi poetici di Marco Cantini, soprattutto in quanto nella loro maggior parte manca una coerenza semantica e sintattica di fondo, che possa generare delle immagini concrete nella mente di chi ascolta. Ed è poco chiaro quanto questa incoerenza sia mistero e ineffabile poetico oppure piuttosto una difficoltà nell’abbinare la logica alla poesia, scaturita probabilmente dalla volontà di affrontare argomenti troppo vasti e complessi rispetto alla propria capacità di elaborazione.

Ci sono tuttavia dei punti in cui il pensiero acquisisce più spessore, come per esempio in alcune frasi del brano “Ballon d’essai” (“Nell’immagine para fascista che tornava feroce a ruggire”; “Ma la tecnologia che ci emancipa è la stessa che ci manipola ed innalza il vessillo reale di un impero che sembra virtuale”; “Costruire il nemico straniero con la tua identità nazionale”; “Riconoscere la dignità e la libertà personale di chi aspira a una vita migliore è ciò che nessuno dovrebbe negare”), oppure nel bell’ossimoro “con la ferocia dei timidi” presente in “Milionari di lacrime”.

L’inafferrabilità dei testi viene compensata dalla facilità di ascolto della musica, specie di quella suonata con gli strumenti. Anche le musiche (tranne quella di “Camminando e cantando”) sono state create interamente da Marco Cantini, che sembra aver scelto con grande cura gli strumenti musicali e i musicisti da far confluire in degli arrangiamenti armoniosi, equilibrati e interessanti. È molto bello il modo in cui alcune parti strumentali solistiche arrivano a sorpresa, come se nascessero direttamente dall’impasto sonoro indifferenziato creato dagli altri strumenti: un meditativo violino in “Quello che segue” e in “Aventino”, un sognante flauto in “Fiori”, una fisarmonica dal sapore sudamericano in “Milionari di lacrime”, un nostalgico violoncello in “Madre”.

Il gruppo base di musicisti (la “line-up”) già presente nei precedenti progetti è formato da Riccardo Galardini (chitarre elettriche e acustiche, viuhela), Fabrizio Morganti (batteria e percussioni), Lele Fontana (hammond, rhodes, piano, melodica), Gianfilippo Boni (piano, rhodes), Lorenzo Forti (basso elettrico). Vi si aggiungono, a seconda della canzone, gli interventi di altri bravi artisti: Francesco “Fry” Moneti (violino elettrico e acustico), Claudio Giovagnoli (sax tenore/soprano), Carlotta Vettori (flauto traverso), Andrea Beninati (violoncello e arrangiamento archi), Roberto Beneventi (fisarmonica), Priscilla Helena Boaretti, Silvia Conti e Serena Benvenuti (cori).

La voce di Marco Cantini è calda e giovanile come il suo volto, ma sembra provenire soprattutto dalla testa, coinvolgendo poco il resto del corpo. È una voce piuttosto cerebrale che emozionale. L’estensione si limita ai suoni del registro medio, come se il cantante avesse “paura” di raggiungere i registri alti e bassi, anche se probabilmente avrebbe le potenzialità vocali per farlo. Nei pochi punti del disco in cui la voce osa un po’ di più, si sente fin dal primo ascolto un bellissimo effetto. Ne troviamo un buon esempio nel brano “Quello che segue”, sul verso “Poi stacco l’ombra da terra e mi allontano oramai”, e anche in “Flora Tristan”, sul verso “Ma ho attraversato gli oceani ed ho varcato le Ande”. All’ascolto di quest’ultimo ci sembra quasi di veder sorgere sopra le Ande il sole… Il sole del coraggio e della libertà. (Magda Vasilescu)