SORRY FOR LAUGHING  "Sun comes"
   (2024 )

A due anni scarsi da quel prezioso prodigio di arte varia che fu “Remember, you are an actor”, il nuovo capitolo del progetto Sorry for Laughing sposta decisamente l’ago della bilancia, focalizzandosi su una peculiare declinazione della neoclassica, senza tuttavia rinunciare alle consuete derive avant, tanto care all’ensemble.

Come d’abitudine, “Sun Comes” - di nuovo per la label austriaca Klanggalerie - pesca tra le molteplici possibilità offerte in dote dalle più accessibili interpretazioni della musica contemporanea, flirtando scopertamente con le propaggini estreme di mondi limitrofi, imbastendo una pièce sfaccettata e mutevole grazie all’abituale dose di azzardo che da sempre connota l’approccio di Gordon H. Whitlow, mente e motore di questo act indefinibile.

Totemico rappresentante della meglio intellighenzia degli ultimi quarant’anni, già leader della storica sigla Biota, Whitlow porta in scena una musica sottilmente ostica, nobilitata dal fine che si dà: lasciarsi scorrere senza preclusioni né attese legate a stilemi o manierismi vari, offerta ad una lettura multistrato, all’insegna di una scrittura fortemente contaminata.

Inedita ibridazione di disparate istanze, fuse in un milieu sì sfuggente, eppure sorprendentemente coeso, l’album realizza in purezza l’idea di rarefatta perfezione da cui il collettivo - mutato dagli esordi solisti a supergruppo, ed oramai consolidato oltre la primigenia forma fluttuante - muove e trae ispirazione. Accanto a Whitlow, si collocano oggi stabilmente Martyn Bates (Eyeless in Gaza) ed Edward Ka-Spel (Legendary Pink Dots), col contributo costante di Patrick Q-Wright (anche’egli Legendary Pink Dots) e della chitarrista Janet Feder.

Aperto dalle atmosfere haunting di “Emerge (Sense the Dawn)”, sospese tra vocalizzi estatici ed un violino ondivago, l’album percorre strade non battute, alla mirabile ricerca di una difficile sintesi tra pulsioni avanguardistiche e concessioni a sonorità più prossime ad un pop cameristico, non banale e tendenzialmente leggibile.

Nelle tracce non strumentali, il canto è profondo ed intenso, funzionale ad accompagnare questa musica oscillante, facendosi talora quasi melodrammatico (“Give the Day, Take the Day”), oppure conservando una misurata pacatezza, espressione di un sentimento denso e vissuto che ricorda a tratti David Tibet, altrove Matt Howden.

La fisarmonica di Whitlow domina il folk truccato di “The Evening Dance”, mentre è un crescendo maestoso – obliquo, sporcato da rumori free – a farsi largo con prepotenza nella trama intricata di “Struggle then Redemption”; suggestioni cinematografiche ed un recitativo incombente ravvivano le tessiture inquiete di “Heart of the Matter”, un afflato astratto pervade l’aria sperimentale di “Adam Lay Ybounden”, ideale preludio al gran finale, lasciato ai dodici minuti esangui di una “So, You Rest Easy” che richiama il David Sylvian più etereo, dilatazione circolare ed incessante lamentazione, ammaliante partitura mantrica tra il mistico ed il bucolico, suggello ad un lavoro intrigante ed avvolgente, stimolante rompicapo aperto ad ogni soluzione. (Manuel Maverna)