P.O.P. (PSYCHOLOGY OF PERCEPTION)  "Alien stewardess"
   (2024 )

Un'ora e quarantasette minuti di un doppio album. E penso di capire una sola cosa: questa musica non vuole essere ascoltata. Ci provo, mi metto lì con le cuffie super concentrato, a seguire ogni digressione minimale dal fondale abissale creato dai P.O.P (Psychology Of Perception), ma è impossibile. Dopo un po' mi guardo intorno, vedo il forno a microonde, il tappetino della gatta, il lampadario, la mia compagna che mi chiede impressioni sul film “Anatomia di una caduta”, e niente, sto a discutere se la madre fosse davvero colpevole, se il figlio la volesse coprire o no, se il padre pensasse davvero a farla finita, e la musica la dimentico, ma continua a scorrere.

Forse è proprio questo, l'intento dell'album “Alien stewardess”, uscito per l'etichetta giapponese Zappak. Una musica che funziona nel momento in cui non le dai la tua attenzione, ma la lasci connotare la realtà che ti circonda, come una momentanea colonna sonora della tua vita, in quell'ora e quarantasette minuti. Perché inizia a plasmare quello che vedi, e ti sembra di stare in un thriller psicologico.

Gli strumenti del quartetto sono: violoncello, basso elettrico, corno francese, e pianoforte. Già con i soli primi tre, potete intuire quanto scura possa essere la tessitura sonora. I primi tre, cioè Nora Krahl al violoncello, Hannes Strobl al basso, e Elena Kakaliagou al corno francese, suonano note lunghissime, costituendo una drone music che non lascia mai quieti. Ho lasciato per ultimo il pianista. Si tratta nientemeno che del matematico Reinhold Friedl, che qui su Music Map abbiamo incontrato molte volte, e sempre nel contesto di progetti molto arditi: http://www.musicmap.it/recdischi/ordinaperr.asp?id=5921, nonché fondatore dei zeitkratzer, che uniscono sperimentazione e jazz.

Qui infatti, in teoria, siamo nel jazz. Ma in che senso? L'improvvisazione non parte da nessun tema iniziale, si ricerca una precisa atmosfera distorta e surreale, e i titoli spaziali portano alla mente il free jazz mistico di Sun Ra: “Celestial cabaret”, “Cosmic concierge”, “Intangible vibrations”, “Galactic grace” e “Transdimensional melodies”. A parte la prima traccia, che dura “solo” 10 minuti, le altre vanno dai 20 ai 30. Sono veri e propri viaggioni, trip allucinati, infatti in “Galactic grace” ad un certo punto ricorda la parte centrale di “Echoes” dei Pink Floyd.

Dopo un po', mentre sono preso dalla discussione sul cane del film di prima, che ha vinto un premio per la recitazione, mi accorgo di avere una tortora in casa. La sento tubare, e mi chiedo da quale finestra possa essere entrata, e perlustro la casa. Poi mi rendo conto: non c'è nessuna tortora, è il corno francese che le assomiglia! In “Celestial cabaret”. Il corno prende sembianze diverse, in “Transdimensional melodies” inizia a fare dei glissati ascendenti. Tradotto: singhiozzi.

I sibili lancinanti che aprono “Intangible vibrations” si riprendono a forza l'attenzione. Il brano ha una fase centrale di caos, interrotto da singole note del pianoforte, che procede febbrilmente a intonare una scala, una nota alla volta, con un'espressività straniante. In risposta, ben presto torna il violoncello a “lamentarsi”, con tanta virtuosità, quanta espressione di “dolore”. Dolore? O paura?

Il titolo del doppio album è un indizio di comprensione: l'hostess aliena ci accompagna in un viaggio interdimensionale, e i musicisti, per iniziare quest'avventura musicale, si sono chiesti cosa il loro corpo conosca. Sì, il loro corpo fisico, l'organismo. Dunque, l'approccio creativo musicale parte da un collegamento corporeo e neuronale, che crea una rete di scambi di energie. Per chi ascolta, diventa un'esperienza da analizzare nella propria realtà, e nella relazione che il proprio corpo sviluppa con essa. Insomma, un jazz psichedelico, conturbante e perturbante! (Gilberto Ongaro)