KATHYA WEST, ALBERTO DIPACE & DANILO GALLO  "The last coat of pink - Water's break"
   (2024 )

Le vibrazioni ci sono, la passione anche, l'interplay di elevato spessore.

Cosa manca a un omaggio difficile come la salita fin sulla vetta del Nanga Parbat? Nulla, anche se il campo base da cui si parte è nobilitante oltre che impegnativo, e induce a un massaggio spirituale e sensuale senza pari.

Ed ecco che il vostro affezionatissimo lancia nel web un bel 9 pieno conquistato. Kathya West, Alberto Dipace & Danilo Gallo, trio jazzy di cui ho già avuto modo di apprezzare la personale quanto mai scontata rivisitazione dei Pink Floyd, ora ci riprovano reinterpretando fior da fiore il vasto repertorio della grande Bjork, che è senza dubbio fra le artiste più innovative e visionarie degli ultimi trent'anni e passa.

Guardatevi su Youtube i video dei suoi esordi pseudopunk e capirete come fin da piccola promettesse faville come un geyser della sua terra. Personalmente nel mio olimpo di voci femminili è insieme a Beth Gibbons dei Porthishead e a Beth Orton sul podio senza se e senza ma, e certo senza nulla togliere ad altre regine come Ella Fitzgerald, Nina Simone o Eva Cassidy.

La Gibbons e la stessa Bjork peraltro ho avuto il piacere di sentirle dal vivo, la prima nel suo live con i Portishead del 2008 (e già pregusto l'uscita del suo nuovo disco), l'islandese nel suo mitico live al Teatro Regio di Parma che si contende il primo posto nella mia personale classifica di live accanto al tour dei primi anni Duemila di Peter Gabriel.

Bjork nelle sue varie accezioni musicali è ormai uno standard, grazie anche alla sua voce che mi fece innamorare fin dai tempi bizzarri dei Sugarcubes. Il trio che la rilegge con voce, piano e contrabbasso arriva sempre al sodo del repertorio bjorkiano, ne estrae con umiltà e sapienza artigianale e sartoriale il succo sonoro e canoro come fa una buona centrifuga con gli alimenti, amplificando però certi percorsi, certe sfumature, certe pieghe e plissettature e striature (vedi ad esempio la rilettura egregia di "Where is the line") senza mai cedere alla tentazione di mettere troppo al forno, semmai al contrario, per forza di levare, sottrarre, e non cede mai neanche alla tentazione (sempre dietro l'angolo con certi inarrivabili modelli) di scimmiottare l'inscimmiottabile.

Un disco così, misurato, denso, da gustare infinite volte assaporando un bel calice e con un impianto all'altezza, andrebbe fatto ascoltare nei conservatori, ma che dico, anche nei licei, e financo nelle medie e negli oratori, come purga musicale per depurarsi dalla melassa rumorosa che ci propinano. Voto 9, e mi domando cosa il trio vorrà affrontare la prossima volta per stupirci e farci sognare di nuovo. Grazie! (Lorenzo Morandotti)