FRANCO BATTIATO  "Come un cammello in una grondaia"
   (1991 )

Ormai lontano dalle tentazioni del commerciale, Francuzzo prese il suo tappeto, lo stese per terra, si fece crescere un ascetico barbone nero (con gran dispiacere dei suoi imitatori, che sull’accoppiata occhiale nero – nasone ci campavano da 10 anni) e mise il popolo al corrente della sua ricerca verso l’Infinito. E il pubblico, già mediamente spiazzato dai primi segnali reperibili in “Fisiognomica”, capì del tutto che l’uomo di “Cuccuruccuccu” era lontano: se ne fece una bella selezione, tra fans saliti sui facili treni del successo e chi, invece, aveva abbracciato l’ecumenicità della battiatanza. Il “Cammello” è forse uno dei suoi dischi più misteriosi, con un lato di lieder dall’impossibile commercialità, ma anche un lato A che, tra la voce del Nostro e gli archi dietro, lascia per la durata delle 4 canzoni totalmente senza fiato l’ascoltatore. Si parte dalla feroce invettiva di “Povera patria”, spettacolare nel contrasto tra dolcezza degli archi e la rabbia dell’uomo tradito dalle istituzioni e dai suoi simili. I telegiornali che, pochi mesi dopo, avrebbero dovuto dissertare su Tangentopoli, avevano trovato in anticipo l’adeguata colonna sonora. Si incontrano gli angeli caduti di “Le sacre sinfonie del tempo”, passando ad una titletrack dove si accusano i “demoni feroci della guerra che fingono di pregare”. Non da poco, detto dal primo artista occidentale a suonare a Bagdad dopo i primi bombardamenti, in un periodo in cui essere antiamericani non era ancora di moda. Gli è andata bene: lo facesse oggi, forse, George W gli farebbe recapitare un missile sotto casa. Infine, “L’ombra della luce”, probabilmente il punto più alto della produzione di Battiato, pochi minuti per restare folgorati. Brividi totali, per un’anima che non può non uscire depurata dall’ascolto: quasi un salmo, adatto a tutte le religioni, e Francuzzo poteva cantarla davanti ai capi di tutte le confessioni, facendoli commuovere. (Enrico Faggiano)