NATASHA BARRETT  "Toxic colour"
   (2025 )

Utilizzando microfoni ambisonici per dare ampiezza di respiro e brillantezza alla propria opera, Natasha Barnett ritorna con un disco, Toxic Colour, nel quale i suoni ambientali che registra diventano dichiarazione di poetica e percorso devozionale e appassionato verso una nuova possibilità di fare musica e di viaggiare, un tentativo di trascinare l’ascoltare non nei luoghi in cui tali suoni hanno origine ma, piuttosto, in una dimensione astratta, visionaria e intangibile.

In cinque brani tutti piuttosto lunghi, stratificati e complessi, Natasha Barnett costruisce l’impalcatura del suo nuovo, affascinante disco Toxic Colour (uscito per Persistence of Sound) attraverso l’accostamento di ciò che è simile o di ciò che è opposto decostruendo, ricostruendo e levigando i suoni della natura registrati in loco, cercando di studiare come essi possano intrecciarsi nelle strutture antropiche che le circondano, siano esse sociali o architettoniche. «I love sound. All kinds of sound. I'm constantly fascinated by the sound that the world has to offer: nature, culture, people, places», ha dichiarato Barnett nel presentare questo nuovo lavoro, e non ci sono parole più precise per descrivere l’accuratezza e l’eleganza con la quale esso è stato organizzato dalla sua autrice.

Il pezzo d’apertura, i dieci minuti stranianti di “Impossible Moments from Venice: The Other Side of the Lagoon” conducono l’ascoltatore in un marasma di suoni e di vibrazioni dove è chiaro sin da subito che la volontà programmatica di Barnett, fare interagire quello che è natura con quello che è artificiale, quello che è melodicamente accattivante con ciò che è spinoso e dissonante, si realizza pienamente e con plastica concretezza. Le onde della laguna risuonano in tutto il loro mistero e la loro carica d’inquietudine. Allo stesso modo in “The Swifts of Pesaro”, la traccia più breve, con i suoi sei minuti di durata, echi, fischi e soffi di vento rincorrono chi ascolta fino a lasciarlo spiazzato e sperduto in una spiaggia a metà autunno.

Giocando su sonorità a tratti concilianti e a tratti taglienti, Barnett costruisce un quadro ostico ma magnetico, che coinvolge e convince. Le improvvise raffiche cariche di tensione di “Toxic Colour” avvolgono e spaventano, intervallate come sono da momenti di calma che si riempiono di attesa. Anche “Glass Eye” e “Ghosts of the Children”, altrettanto intense e vorticose, non deludono le attese, dimostrando quanto Barnett sia capace di edificare un’opera epica ricca di spunti e di rivelazioni. (Samuele Conficoni)