MARINA SAIKI  "Double reflet"
   (2025 )

Il pianismo di Marina Saiki è, introspettivamente ed emotivamente, coinvolgente; una artista che ha scelto, per questa eccellente offerta musicale, un repertorio che si pone come un ponte tra due culture musicali, orientale e occidentale. Un ponte che unisce due tradizioni, due culture, e lo fa introducendo compositori come Toru Takemitsu, Yoshihisa Taira, Akira Nishimura con Claude Debussy, Maurice Ravel, Erik Satie.

Ogni compositore una storia, un percorso di vita e di musica che, attraverso le abili dita di Marina, rivivono nella loro intimistica luce musicale. Energie che evolvono, si intrecciano, coinvolgendo l’ascoltatore in suoni che rivivono di nuova energia, di rinnovato splendore per mezzo di una rilettura interpretativa ricca di emozione.

In Marina Saiki la precisione non distacca l’ascoltatore dalla percezione emotiva del brano, donando ai brani degli autori francesi quel giusto tocco, asciutto nelle agilità, mai traboccante di enfasi ma invece pienamente risolto in apici di suono, a sottolinearne l’esplosione armonica, come nella splendida “L’Isle Joyeuse” di Debussy: il virtuosismo raffinato e innovativo, sviluppato in una scrittura pianistica brillante e tecnicamente impegnativa unente forza e grazia nell’esecuzione.

La dinamica ampia riconosciuta dallo stesso compositore non intimorisce Saiki, che si destreggia con precisione nella ritmica ritmata dalle dense armonie di chiara impronta post-listiana. Ciò che impressiona è il gusto con il quale Saiki si mette alla prova in un repertorio molto conosciuto, firmando una interpretazione raffinata ma intima del brano, senza indugi ma che volge diretta attraversando la complessità armonica basata su scale di toni interi, modi lidii e cromatismi, disegnando un climax vibrante e colorato esprimendo al meglio il carattere gioioso della composizione.

Ma poi Saiki suona la Romanza di Toru Takemitsu, in cui il clima introspettivo impressionista, che fa appunto “da ponte” tra i due compositori, viene evocato attraverso il concetto di “ma” lo spazio tra silenzio e suono, ciò che per gli occidentali è musica stessa (le pause); Saiki gioca abilmente con questo concetto, dando alla musica una dimensione spaziale e temporale molto diversa da quella del repertorio francese.

Un’altra differenza sostanziale è nell’uso del “colore” francese, che in Takemitsu diviene astrazione meditativa e presa dei tempi per ricercare l’evocazione della sensibilità verso natura e silenzio fino ad arrivare allo sviluppo di una concezione compositiva originale e indipendente.

Saiki è lei stessa l’anima del lavoro musicale. Ella riveste l’interprete giusta, colei che si può porre all’ascolto del pubblico in maniera realisticamente credibile nel proporre una simile e ambiziosa chiave di lettura del repertorio proposto in questo Album.

Ravel impegna la pianista da un punto di vista profondo e “liquido” ne La Valle des coches M.43 Fom Mirroirs: qui Saiki cerca di far risuonare nella mente dell’ascoltatore il suono delle campane parigine e di nuovo ricerca nel tocco, in quel filo sottile che solo i pianisti possono comprendere, che collega interprete a strumento.

Mi piace l’uso delle quarte parallele e ottave a suggerire le risonanze delle campane, il controllo dinamico spesso pianissimo senza perdere di chiarezza. Ne crea un quadro raffinato ed elegante, in cui ben si percepisce la straordinaria conoscenza dello strumento. La melodia centrale che ne emerge è lirica e ampia, calda e legata.

Sempre nello stesso album “Des Pas sur la neige” di Debussy è un vero e proprio racconto, sembra quasi procedere con passo incerto la prima impronta sul vasto bianco che ci circonda, poi procedendo affondando tra il paesaggio candido e immacolato in cui assale la solitaria sensazione di tristezza lenta, di cui si prende consapevolezza quasi di un rimpianto tenero ed esso stesso malinconico…

Saiki parla tra sé in un dialogo interiore, caratterizzato da toni sommessi, e le dita accarezzano i tasti quasi a volerne dipingere i contorni, di questo paesaggio. Le pennellate sono dolenti, l’ambiente è freddo, bianco e grigio, una pittura simbolista dove il suono diventa un oggetto da contemplaresenza eccessiva partecipazione emotiva, un mistero sull’esistenza e la poesia del silenzio che qui con Debussy prende vita con una scrittura languidamente come in un paesaggio di Monet o Sisley…

La Gnossienne n.4 di Satie è forse l’unico brano che mi discosta personalmente dal “pensiero” interpretativo di Saiki, per l’eccessivo ritardando sugli attacchi, forse suonati così per dare l’idea di sospensione. Se risulta, infatti, attinente ad un approccio interpretativo valorizzante la struttura ritmica ma senza “rigidità” (Satie era profondamente inviso all’Accademismo, da cui, oltre a prendere le distanze, ne derideva proprio l’eccessiva rigidità stilistica), è anche vero che rischia di entrare in un “pathos” che non è proprio dell’autore.

Una esecuzione delicata (e questo non manca mai nell’interprete), con un attenzione mirata al fraseggio ma distaccata da ogni minima traccia di “lirismo” è, forse, la caratteristica che assoggetta Satie il quale non si prendeva mai seriamente, in un contesto di formalità di vita contrapposto all’informalità della mente compositiva stessa.

Satie viveva in due stanze ma ben lungi da quell’espressione Bohemienne di vita che poteva accomunare artisti francesi di chiaro risvolto romantico, era un “minimal”... assolutamente non chic, per dirla con un linguaggio attuale.

Satie era il compositore che aveva i colori dentro e li esprimeva con una lucida scrittura, come a giocare con i simboli colorati della mente in un gioco di ritmi, giocolerie musicali ed il cui rischio è proprio dietro l’angolo: di dargli troppa importanza.

Saiki è la pianista orientale che incarna la meditazione giapponese con la delicata introspezione francese (essendo lei stessa naturalizzata francese), in un riuscito connubio artistico di personalità solo all’apparenza contrastanti tra loro. (Elisabetta Amistà)