PANIC SHACK  "Panic Shack"
   (2025 )

Era un bel po’ che non mi si presentava l’occasione di sviscerare un disco di una band declinata tutta al femminile, ed oggi lo faccio con l’omonimo debut-album delle Panic Shack.

Si tratta di un quartetto di Cardiff con attitudine punk e fraseggi d’alt-rock, non urlati a squarciagola ma con un equilibrio che colpisce senza remore, espresso con ironia e disinvoltura, che ne potenzia la solidità di gruppo.

In aggiunta, si avverte un clima di cameratismo roccioso, inossidabile, con la leggerezza di una forte complicità tra amiche, come testimonia il chiacchiericcio introduttivo di “Girl band starter pack” e se le serrate ritmiche di “Wok Wan”, “Tit school”, “Do something” o “Pockets”, che si snodano in bilico tra la ferocia vocale di Jemina Pearl (Be Your Own Pet) e la grinta di Chrissie Hynde (The Pretenders).

La singer Sarah Harvey tiene banco con una certa padronanza interpretativa, sostenuta da un assetto esecutivo formidabile: critiche e sarcasmo viaggiano bene sulle tematiche degli incontri sul web di “Unhinged” o sul malato stalkeraggio di “Smellarat”.

Il pazzesco fervore di “Do something” e “Thelma & Louise” mi fan trasvolare sulla costa californiana per ri-evocare in me la splendida stagione harcore-punk Losangelina degli anni ’80, tra echi di Avengers, Viktims, L7 e The Bags: onori e applausi.

Prodotto da Ali Chant (già con Pj Harvey, Perfume Genius e Yard Act), gli 11 brani di quest’opera prima a lunga gittata (dopo l’e.p. ''Baby Shack'' del 2022) fanno acquisire alle quattro donzelle gallesi una nuova forza creativa, tra divertimento e quel filo di pazzia necessaria per la buona riuscita di un coinvolgimento da baracca: o meglio, da “Baracca del Panico”. Capito? (Max Casali)